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Il Maccartismo e la caccia alle streghe, il Comunismo come minaccia alla democrazia e alla realizzazione del Sogno americano, le illusioni del Dopoguerra e la tensione di una Guerra Fredda che avvinghia le personalità oltre che gli Stati. Sono questi i tanti ingredienti di “Ho sposato un comunista” di Philip Roth.

Centro focale del romanzo è la figura di Iron Ringold, attore e speaker radiofonico che, all’apice del successo, sposa Eva Frame, bella e famosa attrice di film muti. Lei è più grande di lui, è reduce da precedenti matrimoni ed ha una figlia dalla personalità complessa, Silphyd. La vita di Ira Ringold è narrata a Nathan dalla voce di Murray, il suo ex insegnate di inglese e fratello di Ira.
Ira Ringold lavora sin da giovanissimo come scaricatore di porto, dove conoscerà Jonny O’Day che lo convertirà al Comunismo. L’operaio si emancipa, diventando attore e marito di Eva Frame, una donna ai suoi antipodi. Che effetto avrà questa figura sulla vita dell’uomo? Quanto l’adesione al Comunismo influenzerà la sua vita?

Ho sposato un comunista
La copertina di “Ho sposato un comunista”

La risposta è data da un romanzo lento in cui largo spazio è dato ai dialoghi tra personaggi che si raggomitolano spesso tra le varie parti del racconto. Philip Roth ricalca in modo analitico e riflessivo la personalità di Ira per tracciare in modo più approfondito il ritratto di un’epoca densa di complotti e dietrologie, di affannose ricerche costellate dal sacro fantasma del potere “Non occorre una visione evoluta della vita per amare il potere. Non occorre una visione evoluta della vita per andare al potere”.

Il potere come supremazia su un popolo, come supremazia sui sentimenti, come supremzia sui gesti, sulle tendenze e sulle abitudini è il nodo focale di un romanzo che, attraverso le vicissitudini di un privato cittadino che vive a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 del ‘900 negli Stati Uniti D’America, dispiega i suoi paradossi e le sue innumerevoli contraddizioni. Un racconto nel racconto che ci coinvolge nella parabola ascendente e discendente di un uomo che si è illuso sia nella vita pubblica, sia in quella privata “Per tanto tempo tutto è così caldo, e ogni cosa, nella vita, è così intensa; poi, a poco a poco, il caldo se ne va, comincia il raffreddamento; e alla fine rimangono le ceneri”. Se la massima qualità di un libro risiede nella capacità di saper lasciare interrogativi e aprire varchi di riflessione, Roth è sicuramente l’esponente di un’ottima letteratura.

 

A Rashid, da cui è nato tutto,
a Chris, Keely e Ben, per l’aiuto nel corso degli anni,
a Keif (che rimane lo scrittore più bravo della famiglia),
alla mia Fagiolina, che dà un senso a ogni cosa,
a Norman, per il sostegno indescrivibile,
a papà, che mi ha dato l’esempio,
e a mamma, che non ha fatto in tempo a vedere il libro
ma ne sarebbe stata orgogliosa.
GEORGE GRECIA JR.

Bitches Brew, il capolavoro di Miles Davis che ha rivoluzionato il jazz, di George Grella Jr. narra dell’esperienza vissuta dallo stesso autore ed un suo amico (all’epoca entrambi quindicenni) che per la prima volta si approcciano all’ascolto del leggendario disco.

Casa editrice indipendente italiana Maximum Fax.

Non proprio “pischelli” in ambito musicale, i due giovani adolescenti subiscono tutto il fascino del progresso armonioso che sconvolge da circa cinquant’anni il panorama discografico e commerciale ma principalmente quello artistico del jazz.

“Quello del jazz come musica «classica» è un cliché privo di senso: il jazz non ha alcun bisogno di sigilli paternalistici” e ancora “E l’arte americana più radicata nella tradizione orale è proprio il jazz”.

Bitches Brew, album doppio di Miles Davis pubblicato nel marzo del 1970 in collaborazione con Teo Macero e la cooperazione di musicisti quali: Wayne Shorter, John McLaughlin, Joe Zawinul, Chick Corea.

“Il risultato fu un’opera d’avanguardia dotata di soul e ritmo, musique concrète ballabile, rock che spazzava via l’autocompiacimento del jazz, jazz che scimmiottava i limiti del rock. Odiato da chi lo ama, amato da chi lo odia, l’una e l’altra cosa, nessuna delle due, tutte e due e ancora di più”.

L’autore trascrive con passionalità le varie fasi musicali prima e dopo il grande componimento e successo di Davis. Analisi attenta e critica ma, allo stesso tempo, non completamente al di sopra delle parti: “Suonava sempre con sincerità, era un solista intensamente ed eroticamente intimo: ascoltandolo, sentivi i suoi pensieri, e lui ti raccontava «le cose come stavano»”

Sì percepisce l’enorme interesse e l’immediato incanto che il disco ha suscitato nel suo modo di vivere e nel modo di vivere dell’intero genere umano. Trasformando, come solo la musica sa fare, un pensiero, una visione, la nostra stessa esistenza.

A Girifalco, un piccolo paese del catanzarese, a metà degli anni ’60, uno strampalato postino copia le lettere di cui è portatore. Le legge, le archivia, entra nelle vite degli altri, le analizza e le interiorizza, a volte sembra addirittura perdere i confini di se stesso per entrare a far parte dei personaggi che ha il piacere di incontrare tra le righe delle missive che è chiamato a recapitare. Insieme a lui, protagoniste indiscusse del romanzo sono le coincidenze, gli episodi associativi che forniscono significato ad alcuni momenti, quelli che compensano le delusioni e insegnano a credere nel destino. E’ proprio quando una lettera anonima cade nelle mani del portalettere che la combinazione diventa perfetta, rivelando una costruzione narrativa ineccepibile. Un giallo intorno ad una storia d’amore è il canale di congiunzione tra il protagonista e le coincidenze, in un mix perfetto di ingegno e originalità.

Breve trattato sulle coincidenze
Breve trattato sulle coincidenze

Domenico Dara con “Breve trattato sulle coincidenze” ci insegna a non creder al caso, ma ad aspettare che la vita ci fornisca le risposte agli eventi che credevamo improvvisi “Al postino influenzato dal professore gli sembrava che ogni evento si disponesse secondo un equilibrio: la sosta e la partenza, l’ubbidienza e la rivolta, il perdono e la vendetta, l’umiltà e l’ambizione, l’amore e l’odio, la vita e la morte.”

Gli eventi coincidono, si associano e ci fanno pensare che la bellezza della vita risiede nella compensazione. Anche quando ci sembra impossibile, anche quando la nostra rabbia e le nostre delusioni sono più forti, vale la legge che il piccolo Rocco impara alle scuole elementari: “Quando il bicchiere è colmo, l’acqua non può più fuoriuscire”.

Ordino un libro usato.

Arriva I “blues” di Tennessee Williams.

Titolo originale “American Blues”; copyright 1952 by Giulio Einaudi Editore; traduzione di Gerardo Guerrieri.
Le illustrazioni presenti all’interno sono tratte da fotografie dal vero di ambienti degli Stati Uniti.

Tennessee Williams nasce il 26 marzo 1914 a Columbus. Premio Pulitzer nel 1995. Attesta di sé: “I miei avi erano pionieri del Tennessee, si distinsero nelle guerre contro gli Indiani. Mi si perdoni se parlo esclusivamente dei miei avi”.

Articolato in quattro brevi dialoghi drammatici in forma teatrale:

– la camera buia
– ritratto di Madonna
– la lunga permanenza interrotta
– proibito

Ciascuno con un tema relativamente attuale considerando l’anno di nascita dell’autore. Morte, prostituzione, miseria, degrado, gli anziani come peso per la società.
Quattro racconti lucidi e “asciutti” dove la ripetizione di dodici battute strutturate sul modello della musica Blues (quasi a costituire una colonna sonora) si fanno incalzanti e si scontrano con la deludente realtà, lasciando il silenzio (pausa) l’unica alternativa per riprendere fiato e passare al livello di coscienza successivo. Al termine della lettura ci si rende conto di essere immusoniti e di star digrignando i denti da un po’.

Storie di vita vissuta, esistenza degli emarginati o di coloro che hanno preferito l’emarginazione, rispetto al confronto, per non esaminare la propria limitatezza.

Come cita Guerrieri: “la necessità della compensazione nasce negli insoddisfatti, nei delusi, in coloro che la vita ha privato di un unico bene  (una famiglia, una tradizione, un amore); la privazione di questo bene travolge il loro equilibrio morale, e stabilisce una nuova tensione di desiderio, istintivo, animale, febbrile..

NESSUNO LIETO FINE.

Nato nel 1967 a L’Aquila, è scrittore e/o poeta e si guadagna comunque da vivere come docente universitario di Fisica. Viaggia con riluttanza e dolore per lavoro e nel tempo e ne ricava spunti per la sua scrittura. Dopo decenni di gestazione letteraria nel 2018 partecipa al Premio InediTO – Colline di Torino vincendolo con il racconto Parole e Patate inserito in questa raccolta. Da allora la sua scrittura si condensa per intrinseca anarchia in forme più poetiche (sta lavorando a una silloge dal titolo La maglia a pallini).

In questa raccolta di racconti, sua opera prima, leggerete pagine strappate da un diario di un bambino degli anni settanta nell’Italia di mezzo, e poi una storia dalla temporalità discronico caotica di una famiglia Istriana tagliata dalle linee di faglia di foibe e alterne pulizie etniche. A seguire un “a-fresco” esteso della piazza di Jaffa dove si intrecciano storie non comunicanti di ebrei e musulmani. E poi, con una serie di salti di immagine e leggere variazioni di stile deliberatamente disorientanti, la raccolta si chiude con una collezione, rimasticazione autobiografica, di appunti di viaggio reali o dell’anima. Eppure una linea rossa si trova: il mare, la guerra come stato dell’anima, l’amore, il rosso della voluttà, l’infanzia, il racconto in prima persona, il pensiero altro, sono i canoni su cui l’autore divaga.

E sto abbracciato a te
senza guardare e senza toccarti.
Non debba mai scoprire
con domande, con carezze
quella solitudine immensa
d’amarti solo io.
(Pedro Salinas)

La protagonista della storia è una donna della quale non ci è dato conoscere il nome. Lei stessa racconta con lucida esattezza e in modo asciutto, le motivazioni che l’hanno portata all’assassinio del marito. Il racconto “E’ stato così” (edito da Einaudi), si apre con la chiara, netta ammissione del misfatto: “Gli ho sparato negli occhi. Ma già da tempo pensavo che una volta o l’altra gli facevo così”.

Prima d’incontrare Alberto (suo marito), era un’insegnante giovane trasferitasi da poco in città. Una donna semplice che mai era stata notata e corteggiata. Le attenzioni dell’uomo che le regala dei guanti, fa con lei lunghe passeggiate, l’ascolta e le parla e le fa un ritratto che fa esclamare al dottor Gaudenzi (colui che li ha presentati): “Alberto non sa fare il ritratto alle donne che gli piacciono”; la persuadono che lui provi un forte interesse nei suoi confronti. L’idea di essere amata la spinge piano piano a pensare sempre più ad Alberto facendole desiderare di vederlo più spesso. Solo sua cugina Francesca, più sveglia di lei, l’avverte che l’uomo potrebbe essere non interessato ma non le presta ascolto.

Quando Alberto comincia a ritrarsi non scrivendole per tutta l’estate (che lei trascorre nel suo paese natio lontano dalla città), la protagonista intristita, comincia a pensare di amarlo: “E così allora mi sono innamorata di lui aspettandolo”.

Tornata, lo cerca e gli confessa il suo interesse sicura che lui la ricambi. Così non è: l’uomo le risponde di essere innamorato di Giovanna, una donna che conosce da anni, sposata e madre di un figlio, della quale è stato innamorato, senza successo, anche il suo caro amico Augusto. Paradossalmente, Alberto le propone di sposarlo. L’angoscia di una vita solitaria e vuota, la paura di tornare indietro al tempo in cui non lo conosceva, la spingono ad accettare nonostante lui non la ami.

Quali sono le motivazioni dell’uomo? Le stesse di lei: vuole scappare dalla solitudine e dall’angoscia di vivere in continua attesa di Giovanna. Gli sembra che costruendo un nuovo ambiente famigliare, mettendo al mondo dei figli, sposando una donna che gli voglia bene, possa mitigare la sua inquietudine. Così non accade. Il matrimonio finisce per essere una trappola per entrambi: lui appena può scappa da Giovanna; lei finisce disperata ad aspettare che torni. Neanche la nascita di una figlia riavvicina i coniugi, anzi, è la sua morte prematura a compiere il miracolo.

Nonostante le nuove attenzioni del marito, lei vive nella continua paura che lui un giorno possa partire con Giovanna e non tornare più. Comincia così a pensare di utilizzare la rivoltella che Alberto da giovane, in un impeto di disperazione, aveva comprato per suicidarsi nell’impossibilità di vivere con l’amante.
Se Alberto fosse morto, lei avrebbe posto fine all’attesa. Quella sua che la costringeva a casa a domandarsi se lui sarebbe tornato. Quella di lui e di Giovanna che si chiedevano quando avrebbero potuto rivedersi.
In questo romanzo breve del 1947, la Ginzburg ci regala il ritratto di cinque solitudini e di come per sfuggire all’infelicità, pur prendendo strade diverse, tutti falliscono.

è stato così
La copertina di “E’ stato così” edito da Einaudi

E’ la dura presa di coscienza della protagonista che vive un mondo interiore fatto di sogni e fantasie. Una donna che non ha i coraggio di vivere davvero e si aggrappa ad un’illusione.
E’ la malinconica vita di Alberto che ama Giovanna che non può avere. Che vive assoggettato alla madre anziana che lo tormenta e lo rassicura, figura forte e stabile che lo costringe ad un affetto e ad un focolare domestico al quale vorrà tornare, dopo lei morta, sposando una donna affidabile che non ama:

“Sei la sola cosa che ho,ricordalo. L’ avevo ricordato e quelle parole m’avevano aiutato a vivere un po tutti i giorni. Ma perdevano la loro dolcezza a poco a poco come un nocciolo di prugna succhiato per troppo tempo”.

E’ la consapevolezza di Giovanna che confessa di aver sbagliato a sposare un uomo che non riusciva a capirla: “Con mio marito è andato sempre male. E’ andato subito male, fin dai primi tempi. (…) Non abbiamo niente da dirci e mi trova stupida e strana”.

Giovanna che non lascia andare Alberto perché è l’unico con il quale riesce ad essere se stessa. La ricerca della felicità di Francesca che della sua giovinezza libera ha fatto quasi una missione disperata tra feste, bei vestiti, relazioni fatte di fuochi fatui e l’assoluta fermezza nel non volere una vita conforme a quella della protagonista, sua cugina.

Infine Augusto che s’innamora di donne che non potranno mai ricambiarlo come Giovanna e Francesca, e soffoca la sua tristezza nel lavoro, scrivendo libri,nel silenzio comprensivo di amico e confidente degli altri personaggi.

Come un infernale circolo che inizia con la solitudine e finisce nella solitudine, il racconto della moglie omicida ci suggerisce forse che più ci costringiamo a non guardare in facciata la verità, più la verità ci presenterà il conto alla fine. Il nostro bisogno di consolare i vuoti non può essere riempito da recite in cui noi decidiamo quale parte affidare alle persone che vivono intorno a noi. La verità che tanto agognava la protagonista, era sotto ai suoi occhi da sempre e nulla l’avrebbe cambiata. Lo sparo negli occhi del marito, acceca ed oblia la vita di lui, e libera lei dall’assillo continuo di venire messa di fronte alla realtà delle cose.

“Chiudi gli occhi per vivere
chiudi gli occhi per uccidere”
Manuel Vazquez Montalban

Elisha ha 18 anni ed è un ebreo sopravvissuto ai lager nazisti. Ha perso tutta la sua famiglia e i suoi progetti per il futuro. A Parigi incontra Gad, un terrorista israeliano che lo convince a seguirlo in Palestina per unirsi alla sua causa: fondare lo stato di Israele. Ormai solo al mondo e senza prospettive, aggrappandosi al sogno della terra promessa, il ragazzo accetta.

In appena 85 pagine, Wiesel (edito in Italia da Guanda), ci consegna il racconto di una vittima che diventa assassino: Elisha, infatti, sarà costretto ad uccidere un uomo, John Dawson, come rappresaglia nei confronti dell’esercito inglese che avrebbe giustiziato David Moshe, uno dei capi della resistenza israeliana.

Nella notte che precede l’alba in cui dovrà uccidere il prigioniero inglese, il protagonista viene visitato dai fantasmi dei suoi genitori, del suo maestro, di un caro amico d’infanzia e di se stesso bambino:

“Tu sei la somma di ciò che eravamo. Allora,in un certo senso, giustizieremo noi John Dawson domani all’ alba. Non puoi farlo senza di noi.”

Elie Wiesel
Elie Wiesel

Elisha è l’ebreo che diventa carnefice. Il suo fallimento è quello del suo popolo. Attraverso il ricordo di coloro che hanno contribuito alla sua formazione, il giovane non trova giustificazioni per l’assassinio di un uomo. La guerra però non gli da possibilità di scelta: se risparmi il nemico, gli darai la meglio, se gli dai la meglio, lui vince, tu perdi. Il ragazzo prova vergogna per se stesso, in un uomo non vede che un uomo e non un simbolo da odiare. Eppure non una volta cerca di tirarsi indietro : il suo ideale è altissimo ed è davvero sicuro che la sua lotta sia giusta. Aspettando l’alba, Elisha capisce che uccidendo, contribuirà ad uccidere quello che  stato fino a quel momento.

Nell’impossibilità di salvare il prigioniero e la sua coscienza, sceglie la causa. Dov’era Dio quando il ragazzo era prigioniero nei lager? Non c’era. L’aveva perduto. E adesso che si appresta ad uccidere un innocente?

La notte e l’incontro con John Dawson gli danno la risposta:
(Dio è) “Nell’assenza di odio da parte della vittima verso il carnefice e del carnefice verso la vittima.”
Wiesel ci regala la tragedia ed il trionfo della natura umana che  può trasformare un ragazzo che voleva diventare filosofo in assassino ma ci insegna che anche nella più atroce delle azioni, può albergare un barlume di bene.

Una fievole speranza per chi ancora combatte, uccide e muore fra palestinesi ed israeliani.

Dopo aver vinto a febbraio il Premio Carver 2018, Valerio Vigliaturo si aggiudica anche con il romanzo Dalla parte opposta pubblicato un anno fa da Augh! Edizioni (marchio editoriale di Alter Ego Edizioni di Viterbo) il Premio Nazionale di Poesia e Narrativa “Alda Merini” 2019 dedicato alla celebre poetessa e scrittrice, la cui premiazione si svolgerà sabato 25 maggio ore 15 a Imola (BO).
L’opera prima dell’autore nato a Chieri (TO) è un’autofiction proiettata in un futuro postumano, attraverso una scrittura metatestuale e ispirata all’improvvisazione jazz, con digressioni saggistiche, versi poetici e tweet.

Dalla parte opposta. L’amore, l’immortalità e l’altrove narra le vicende esistenziali di un uomo antipatico ai più, simpatico a pochi ma buoni. Un outsider, da sempre considerato divergente, alla ricerca di conferme, una meta e un senso, tra le alterne fortune delle sue vicende amorose, il suo essere incompreso, gli interessi per le nuove tecnologie, le religioni, i viaggi, ma anche le esperienze con le droghe e il sesso, attraverso una trasgressione consapevole. Connesso con l’infinito, catapultato sulla terra come un “reporter onnisciente venuto dallo spazio” (Ferlinghetti), fatica a vivere secondo le regole dei mortali e attende di essere trasferito nella redazione stellare di un altro pianeta. La scoperta del progetto Global Future 2045 gli consente finalmente di cambiare vita, abbandonando il proprio corpo per smaterializzarsi in una macchina o in un robot. E solo l’incontro con una donna ideale potrà proiettarlo verso il romanticismo di una nuova esistenza.

Il romanzo è stato presentato al Salone del Libro di Torino, al Festival Internazionale di Poesia “Parole Spalancate” di Genova, al Circolo dei Lettori di Torino, a “Firenze, Libro Aperto”, alla “Fiera delle Parole” di Padova, a BookCity Milano, in occasione della fiera “Più libri più liberi” di Roma con lo scrittore Paolo di Paolo, alla libreria Mondadori Bookstore di Catania, al Festival “I luoghi delle Parole” di Chivasso (TO) con lo scrittore Enrico Remmert, alla rassegna “Torino che legge Piemonte che legge”, e sarà presentato l’1 giugno al “Festival della Cultura Mediterranea” di Imperia.

L’AUTORE

Valerio Vigliaturo, cantante, scrittore e operatore culturale. Dal 2004 è direttore del Premio InediTO – Colline di Torino, punto di riferimento in Italia tra i concorsi letterari dedicati alle opere inedite, organizzato dall’associazione Il Camaleonte di Chieri (TO) con cui ha fondato nel 2009 il giornale «CHierioggi» pubblicato fino al 2015. Ha collaborato in passato come giornalista per «Il Giornale del Piemonte», «La Nuova» e «Torino CronacaQui». Dopo diverse esperienze in band, come cantautore, chitarrista e produzioni discografiche, nel 2012 riprende la sua passione per il jazz e il blues, esibendosi dal vivo in locali come il Diavolo Rosso di Asti, il The Mad Dog Social Club e il Birrificio Torino, il Louisiana Jazz Club di Genova e il Nordest Cafè di Milano, in rassegne come il Moncalieri Jazz Festival, l’Alba Jazz Fest, l’Evergreen Fest e “I suoni della Piazza” di Torino, collaborando con importanti jazzisti del panorama torinese.

L’autore: Valerio Vigliaturo

L’insegnante di terracotta di Michele Canalini affronta i delicati cambiamenti che hanno coinvolto la scuola italiana dopo l’introduzione della Buona Scuola. Allieve allibite di fronte a suore che cantano nel film Tutti insieme appassionatamente, sospetti di indecenza all’ascolto di Bocca di rosa di De André, ragazzi disabili trascurati e bistrattati. Potrebbe sembrare di essere a metà degli anni Sessanta e invece siamo nel 2018. Dietro la cattedra della scuola italiana si trova un insegnante spaurito, disorientato. A tre anni dall’approvazione della Buona Scuola e con l’incognita delle scelte di un nuovo governo, Michele Canalini tratteggia la figura di un “insegnante di terracotta” che si ritrova a dover fronteggiare i diktat degli uffici scolastici, le invadenze di psicologi e specialisti e, last but not least, le immancabili richieste di genitori sempre più ansiosi e organizzati in ubique comunità di Whatsapp. Riuscirà il nostro “insegnante di terracotta” a non frantumarsi in mille pezzi e a restare intatto, piccolo soldato al servizio della modernità, del ministero, della classe e, infine, anche di se stesso?

L’AUTORE

Michele Canalini, laureato in Lettere moderne presso l’Università di Bologna, lavora come insegnante in un istituto professionale della Lunigiana in provincia di Massa-Carrara. Nel 2014 ha conseguito la laurea triennale in Filosofia presso l’Università degli Studi di Urbino con una tesi dal titolo L’angoscia nell’epistemologia di Leopardi, pubblicata in volume con il titolo Leopardi e l’angoscia (2015). Le sue principali esperienze sono state presso l’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) di Pesaro e Urbino, in qualità di collaboratore e redattore della rivista Memoria Viva (2002-2010), e presso il Rossini Opera Festival (2002-2015), in qualità di addetto ai libretti di sala. Ha collaborato con il sito di divulgazione cinematografica cinema4stelle.it, è curatore della pagina di divulgazione culturale e letteraria www.facebook.com/cortesieperilettori.periodicoonline e dal 2016 collabora saltuariamente con il sito di informazione culturale www.idranet.it.