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Parco Nazionale della Sila

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È arrivata la stagione invernale in Sila, la foresta si colora di bianco e le temperature si abbassano vertiginosamente fino a scendere sulle vette più alte anche a -20°.

Periodo difficile per le varie specie vegetali e animali che popolano l’altopiano, eppure i paesaggi mozzafiato lasciano il visitatore senza parole, l’aria è pura e la calma regna sovrana.

Nel Parco Nazionale della Sila, come in tutte le stagioni, anche in quella invernale è possibile praticare molte attività tra le quali sciare, fare trekking, sci di fondo, perdersi nella natura sconfinata per fare qualche scatto o addirittura incontrare specie importanti.

Di inverno l’animale più diffidente, ossia il lupo (Canis Lupus Italicus), è possibile osservarlo, data la mancanza di cibo e le difficoltà che porta la neve, perché si avvicina di più ai centri abitati, inoltre è possibile osservare le sue impronte lasciate sul manto nevoso.

Oltre al lupo sicuramente è possibile osservare altre specie quali cervi, caprioli, cinghiali, la comunissima volpe.

Le specie animali, fonte di grande attrazione, abitano quello che, specialmente nel periodo in questione, sembra essere un paesaggio nordico che ispira la mente e il cuore, patrimonio di inestimabile valore naturalistico.

Dagli impianti di risalita, ben tre presenti nel comprensorio dell’altopiano della Sila, è possibile ammirare una natura spettacolare con la possibilità di osservare nelle giornate più limpide la costa ionica e tirrenica, oltre a poter addirittura vedere molto chiaro il vulcano Etna in Sicilia e le isole Eolie che si ergono sul mar Tirreno, questo specialmente dall’impianto di Camigliatello Silano (CS).

Nella zona del Cupone, a ridosso del lago Cecita, comune di Spezzano della Sila (CS), oltre a poter visitare il museo e gli animali presenti nelle aree recintante, sono presenti vari percorsi dove è possibile praticare il trekking e immergersi in boschi storici.

A Silvana Mansio, a pochi chilometri dal lago Arvo nei pressi di Lorica, spesso vengono avvistati branchi di caprioli, mentre nell’area circostante il lago artificiale di Ariamacina è presente un avamposto per l’osservatorio degli uccelli presenti tra i quali rapaci notturni e tante specie di uccelli acquatici migratori e non.

Il Parco Nazionale della Sila è un posto magnifico, la “selva” per antonomasia, così come la definivano gli antichi romani, dove è possibile godere in tutte le stagioni di una natura selvaggia e variegata, dove è possibile sciare a pochi passi dal mare, dove le specie animali e vegetali autoctone e non possono godere ancora di aree dove l’uomo non è presente, dove la notte sulle vette più alte, quando la luna non è presente, è possibile ammirare la Via Lattea anche ad occhio nudo.

Comunque devo dire che sono d’accordo con mia moglie, quando bisogna scegliere un albergo dobbiamo chiedere che tipo di colazione viene offerta.
Lo so che per qualcuno sembra un’esagerazione, ma per chi come me va in vacanza per pochi giorni all’anno, come si comincia la mattina ha un valore imprescindibile.
E quest’anno nonostante abbia trascorso solo pochi giorni in Sila sono stato costretto a dormire in due posti differenti distanti qualche chilometro.
Primo albergo, bello e accogliente, la colazione proposta: fette biscottate, marmellata in vaschette di produzione industriale, croissant chissà di quale marca, Nutella, succo di arancia industriale, latte a lunga conservazione.
In Sila il latte a lunga conservazione? Ho chiesto all’albergatore mi scusi fuori ci sono migliaia di mucche che pascolano e voi mi fate bere il latte a lunga conservazione?
Abbiamo preso armi e bagagli e ci siamo trasferiti subito.

Pochi chilometri percorsi in auto ed ecco un altro albergo, anche questo bello e accogliente, e arriviamo alla colazione: fette di pane casareccio, marmellate fatte in casa, burro artigianale, spremuta di arance di Corigliano, latte fresco della centrale del latte, e soprattutto la pitta ‘mpigliata. La pitta ‘mpigliata impossibile da spiegare in poche parole la sua bontà un dolce buonissimo con noci, uva passa, miele, una cosa meravigliosa!
Devo dire c’era pure una frittata, della soppressata e del caciocavallo… ma io sono siculo e faccio una colazione tradizionale all’italiana.
Comunque abbiamo cominciato la colazione alle 9 e abbiamo finito alle 11,00.
Che bellezza la Sila. Paesaggi infiniti, accoglienza, buona cucina, un vero e proprio tesoro ancora tutto da scoprire.
Dimenticavo, sulla strada del ritorno abbiamo portato al primo albergo una cesta con i prodotti che abbiamo mangiato a colazione giusto per “dare il buon esempio”.
La colazione perfetta …chi ben comincia…

Vado in Sila da più di 30 anni, è cambiata molto dalla prima volta, adesso ci sono tanti ristoranti, alberghi, servizi vari, però una cosa non è cambiata: il suo panorama.
Ancora adesso è possibile vedere queste mandrie di vacche podoliche che vagano per le valli oppure stanno distese nei campi silani. Arrivano qui ogni anno nel periodo tra maggio e giugno per poi riscendere al mare nel mese di settembre, la cosiddetta transumanza.
Nonostante la disponibilità di mezzi di trasporto, ancora adesso molti accompagnano le mandrie attraverso gli antichi tratturi o come le chiamavano i pastori, le vie pubbliche.
Un’esperienza veramente unica che secondo me almeno una volta nella vita va vissuta in prima persona. Superato il primo momento di entusiasmo quando si parte nella parte più pianeggiante che di fatto è una semplice escursione a piedi, il percorso diventa molto impegnativo.
La fatica e le difficoltà via via aumentano.
Le vacche si inerpicano per sentieri irti e a volte pieni di spine, con un passo per niente lento, difficile per chi non è allenato stargli dietro.
Dopo un po’ alla fatica subentra una sorta di euforia bisogna però lasciarsi andare, dimenticarsi le comodità e cominciare ad apprezzare anche i piccoli dolorini dovuti sia dalla tensione muscolare che dalle punture di spine, il caldo, le mosche che ti ronzano attorno, la polvere che viene smossa dal passaggio delle mandrie.
Di fatto bisogna entrare in perfetta sintonia con le mandrie e vedere questo percorso come una sorta di “ascensione spirituale”. Questo è ciò che ha rappresentato per me la breve transumanza che ho percorso con alcuni pastori del Marchesato crotonese.

Uomini di poche parole, grandi lavoratori, che mi hanno accolto con curiosità e un po’ di diffidenza iniziale dovuta al fatto che nella prima ora sono stato sempre a lamentarmi. Poi, dopo aver compreso lo spirito del viaggio, ho cominciato a partecipare alla transumanza non da semplice spettatore ma da aiutante “mandriano”, allora tutto è cambiato per loro e per me soprattutto.
Ho imparato che certe esperienze, per apprezzarle fino in fondo, vanno vissute in prima persona e non da semplici spettatori.

Il mio incontro con la Sila lo devo ad un certo Gioacchino, conosciuto nei banchi di scuola al liceo classico. Come sempre i migliori amici ci vuole un po’ di tempo per farteli diventare simpatici.
Gioacchino è uno di questi, sempre un po’ cazzilluso, controcorrente, visionario, però in grado di farti fare dei viaggi fantastici.
Proprio per seguire le sue tracce quest’anno ho deciso di portare tutta la famiglia nel Parco nazionale della Sila dove Gioacchino da Fiore è nato circa nel 1130 e sì perché dimenticavo di presentarvi come si deve il mio amico Gioacchino: abate, teologo, scrittore, profeta pittorico, veggente, ecc.
Un viaggio quindi a metà tra vacanza e studio.
La prima meta è Jure Vetere ho solo un giorno a disposizione e voglio cominciare questo viaggio dal luogo più rappresentativo dove lui ha costruito il suo monastero, di cui restano poche tracce, per cercare di comprendere al meglio il percorso della sua esistenza e ricerca spirituale.
Lungo il percorso ci fermiamo a Celico per visitare la casa natia, bellissimo sul citofono c’è scritto “Gioacchino da Fiore” quindi viene spontaneo suonare e la cosa bella è che si affaccia una signora che ci fa accomodare per visitare la casa dove sono ancora presenti alcuni cimeli insieme ad altri elementi della religione cattolica.
Una guida turistica veramente inusuale quanto affascinante.
Devo dire non è che in paese si siano sforzati particolarmente a valorizzare questo concittadino illustre, comunque nella filosofia del viaggio ci sta perché il fatto di non trovare celebrazioni particolari fa rimanere intima la vacanza.
Da qui siamo quindi ripartiti per Jure Vetere. Di proposito abbiamo deciso di percorrere la vecchia strada provinciale, un susseguirsi di curve e di paesaggi entusiasmanti.
Mai come in questi casi benedette siano le curve, che non solo ti obbligano a camminare piano ma diventano il pretesto per alimentare la “suspense turistica”.
Arrivati a Monte Scuro, dove si imbocca la strada delle vette (percorribile in macchina quando non c’è la neve), ci siamo quindi diretti a Lorica dove abbiamo visitato il romitorio in cui Gioacchino faceva tappa lungo il percorso che lo portava a Jure Vetere.
Da qui costeggiando il lago Arvo siamo arrivati quindi a destinazione. Sono solo dei resti quelli che sono sopravvissuti al tempo e all’incuria, ma trasmettono sicuramente molta energia.
Non per niente questo luogo è spesso teatro di temporali con lampi e tuoni impressionanti.
Da qui si vede il mar Jonio, l’oriente.
Certo, un posto non scontato per erigere un monastero e ripensando agli scritti, ai disegni di Gioacchino penso che questo luogo celi importanti storie ancora sconosciute.
Gioacchino da Fiore una storia ancora tutta da scrivere.

Io dopo che sono stata nel Parco Nazionale della Sila sono arrabbiatissima, sì perché non è possibile che io, calabrese della zona della Costa Viola, debba scoprire la bellezza di questi luoghi al quarantesimo anno di età.
Devo ringraziare per questo mia figlia che ha organizzato la mia festa di compleanno a Villaggio Mancuso, altrimenti non avrei avuto modo di conoscere uno dei posti più incantati che abbia mai immaginato.
E dire che quando mi ha detto andiamo in montagna ho subito pensato di darmi malata, poi un po’ per quieto vivere un po’ rassegnata ho accettato, obbligando però tutta la famiglia a fare una tappa a Taverna per visitare il museo dedicato a Mattia Preti.
Ho pensato visto che vado a rompermi le scatole in un posto ameno di montagna almeno posso ammirare le opere di Mattia Preti e pazienza.
Quando poi siamo ripartiti da Taverna per raggiungere Villaggio Mancuso ho così stressato la compagnia lamentandomi di avermi portato in montagna al freddo, che penso mi avrebbero volentieri abbandonata sul ciglio della strada.
A dirla tutta il tratto di strada da Taverna a Villaggio Mancuso non è stato per niente propiziatorio, anzi ancora peggio, una salita impervia e piena di curve. Per non continuare a lamentarmi ho deciso di chiudere gli occhi e dormire.
E qui succede l’inaspettato. Ho sentito la macchina fermarsi e mio marito dire svegliate vostra madre che siamo arrivati.
Ho aperto gli occhi e davanti a me un paesaggio fantastico, fantastico nel vero senso della parola. Dove mi avete portato, in una fiaba di Andersen? Quanto ho dormito? Siete sicuri che siamo in Calabria?

Certo! Ha risposto mia figlia. Siamo a Villaggio Mancuso e davanti a noi c’è l’albergo delle fate.
Un luogo da mille e una notte, tra boschi di pino laricio e casette in legna stile borghi della Svizzera, tra fate e folletti che per l’occasione si sono travestiti da miei familiari…
È stata una delle giornate più belle della mia vita, che mi ha fatto rendere conto di quanto non conosco della nostra terra e di come gli stereotipi mi hanno condizionato in questi 40 anni.

È una fresca giornata d’autunno, le foglie cadono dolcemente dagli alberi, la foresta è sempre più incantata e misteriosa, i colori splendono nella loro piena bellezza e regalano alla vista paesaggi mozzafiato. Come un quadro in cui il giallo e l’arancione si mescolano al rosso e al verde, il sole che filtra tra i rami della fitta foresta, sembra giocare come fosse un pennello che spalma pian piano di qua e di là dando gioia immensa a chi si avventura alla ricerca della pace e della quiete che regnano sovrane in questi luoghi magnifici.

Ci troviamo a Lorica, nel cuore del Parco Nazionale della Sila, luoghi incantati, alte montagne ricoperte da foreste rigogliose interrotte qualche volta da prati o da ruscelli, dimora per moltissime creature quali cervi, scoiattoli meridionali, gufi e per il re dei nostri boschi: il lupo.

La possibilità di praticare trekking così da potersi immergere nelle meraviglie che il territorio ha da offrire sono praticamente infinite, camminando silenziosi si ha la possibilità di incontrare gli abitanti del bosco, tra i tanti uno dei più curiosi è sicuramente lo scoiattolo meridionale, tipico animaletto color nero e dal ventre bianco.
Dall’alba al tramonto, dalla luce calda a quella più fredda, le emozioni si alternano, passando dai misteriosi boschi di faggio a quelli di pino laricio e abete, si entra in una favola, in un mondo sempre diverso, si può osservare la luce che filtra tra gli alberi, le gocce di rugiada che sembrano piccoli cristalli, le foglie di mille colori, farfalle e altri insetti che succhiano il nettare dai fiori del sottobosco, si possono raccogliere le fragoline o le more, vi sono funghi di ogni specie incastonati a volte nelle radici o nelle rocce ricoperte da morbido muschio.

Questo e molto altro è la Sila, patrimonio dell’UNESCO, il luogo dove si respira l’aria più pura d’Europa, dove la natura fa la sua parte, dove i boschi sono immensi e diversi, dove l’inverno con la neve si può sciare e ammirare il paesaggio che non ha sicuramente nulla da invidiare a quelli nordici, a mio avviso anche superiore, dove la pace regna sovrana, dove infine l’uomo può sentirsi abbracciato e accolto.

Parlavano tutti del vitigno più alto d’Europa circondato dalla meravigliosa foresta di pini larici. Volevo assolutamente arrivarci e perciò decisi di spingermi fino a Cava di Melis, una frazione di Longobucco in provincia di Cosenza.
Me ne interessai soprattutto per la storia avvincente, eroica e familiare: l’impresa di Emanuele è infatti un sogno che ha percorso diverse generazioni della famiglia De Simone, dal nonno Domenico al padre Emanuele Senior.
Finalmente arrivo a destinazione, fino a 1300 metri di altezza, nel cuore del Parco Nazionale della Sila: gli alberi creano un cappello di conifere sopra la mia testa in un gioco di luci che colpisce subito la mia attenzione, in un silenzio esemplare, dove solo i suoni armoniosi della natura orchestrano la melodia della vita, mentre il lago Cecita in lontananza mi guarda immobile.
Eccolo! Vedo le sue foglie, la sua maestosità. Davvero un esperimento ben riuscito e dal quale si producono vini come il Pinot nero, Cabernet, Riesling, Savignon, Muller Thurgau e Merlot. Qualità resistenti all’inverno della montagna silana, dove le temperature a volte arrivano anche a – 20 °C.
Sono quasi passati dieci anni dall’impianto di questo esemplare ma la cura che gli dedicano ogni giorno è assolutamente maniacale.
Mi fermo ancora un po’ ad ammirare il paesaggio, un posto ottimo per lasciarsi andare alle riflessioni più profonde. Sono contento infatti di aver fatto la scampagnata da solo. Un momento che ho vissuto a pieno, dentro me stesso.

Mi ha sempre affascinato leggere le storie dei viaggiatori del Grand Tour.
Difficile per me inquadrarli: se considerarli scrittori, viaggiatori, esploratori, folli se considerate che spesso si sono trovati in luoghi e contesti complicati dove nei loro scritti traspare non poco il pericolo, l’incertezza dei posti e dell’incolumità personale messa a rischio.
Per rivivere quanto letto ho deciso di fare un’escursione e ripercorre alcuni tratti del percorso fatto da Norman Douglas. In particolare quello che porta nel centro storico di Longobucco.
Visto da lontano dal lato giusto è possibile ammirare la bellezza del borgo antico libero dalle contaminazioni urbanistiche degli ultimi 60 anni. Incastonato tra le valli silane a difesa dalle incursioni che potevano venire dal versante jonico.
L’elemento più affascinante, raccontato in parte anche da Norman Douglas, è la cultura longobucchese una comunità difficile da raggiungere almeno da quanti arrivano dal capoluogo di provincia Cosenza, a breve invece sarà terminata una strada che lo collegherà alla costa jonica in poco meno di mezzora.
Una comunità che, a causa o meglio per fortuna del suo parziale isolamento, è riuscita non solo a mantenere tradizioni e culture antiche, ma soprattutto quella genuinità e accoglienza rustica che ti trasporta indietro nel tempo, dove i rapporti umani, la curiosità e la voglia di dialogare con lo straniero (ora turista) ha origini ancestrali.
La mia esperienza è stata breve ma intensa.
Sono arrivato in paese verso le 11,30 in una giornata del mese di settembre. I turisti e gli emigranti erano ormai partiti, in piazza un gruppo di longobucchesi di varie generazioni era impegnato chi a giocare a carte chi a dialogare nella piazzetta all’ombra della statua di Bruno da Longobucco.
L’ora chiaramente era quella che anticipava il pranzo quindi mi sono fermato a parlare con due signori di mezz’età cercando di farmi indicare dove poter mangiare e soprattutto cosa chiedere.
Dopo pochi minuti eravamo tutti seduti ad un tavolo di una trattoria nei pressi della piazza principale (a fare un aperitivo nostrano) mangiando sardella (una sorta di paté… di pesce condito con sale e pepe) spalmata su fette di pane casereccio, accompagnata da cipolla cruda e un bicchiere di vino locale.
L’abbinamento tra un cibo salato e piccante con il vino è pericoloso perché: uno spinge a bere per attenuare il piccante e il salato, mentre l’altro spinge a mangiare per contenere gli effetti della gradazione alcolica.
Chiaramente l’aperitivo è durato circa un’ora e mezza dopodiché i nostri amici commensali come se niente fosse, sono andati anche a pranzare (ci hanno anche invitato ma eravamo più che sazi) mentre noi siamo rimasti a dormire sotto un albero nei pressi delle miniere d’argento che chiaramente non siamo riusciti a visitare perché quando ci siamo svegliati era ormai tardi.
Torneremo con più tempo, anzi con il giusto tempo che ci vuole per visitare luoghi dove il tempo ha il ritmo della buona vita.

Una piacevole atmosfera accoglie il visitatore in queste ore in Sila. La magia della montagna è percepibile lungo le rive del lago Arvo, nel cuore del Parco Nazionale della Sila-Riserva della Biosfera “Mab Sila” dell’UNESCO.  I paesaggi, che non hanno nulla da invidiare a quelli del nord Europa, si incastrano perfettamente in questi luoghi, rendendo il tutto molto pittoresco. Il profumo dal pino laricio conquista l’aria, e si mescola a quello che sale dalla rigogliosa vegetazione presente sui prati che circondano il lago. Girovagando tra i numerosi sentieri subito l’occhio del visitatore è attirato da un piccolo mammifero, che ha colonizzato questi boschi. Agile, dal colore nero con sfumature grigie, e dal bianco ventre: lo scoiattolo è una sentinella attenta di questi boschi.  Diversi sono gli “abitanti” che, nel silenzio assoluto potrebbero far capolino, come i ghiri e i moscardini. Penetrando nel cuore del bosco, ogni fruscio potrebbe regalare una sorpresa, infatti cinghiali, lepri, faine, puzzole e caprioli scorrazzano nella natura incontaminata della Sila.  I turisti più fortunati potrebbero anche imbattersi nei colori straordinari del gatto selvatico o perché no, anche dei lupi.  Tre sono i branchi che vivono in libertà, di questo mammifero eccezionale, diventato il simbolo per eccellenza del Parco Nazionale della Sila. Torrenti dalle acque cristalline, cascate, insenature da “Le mille e una notte”, l’aria più pulita d’Europa, accoglienza e atmosfera unica, rendono il Parco una meta da visitare, dove poter trovare riparo dalla routine quotidiana e perché no, purificare il corpo e la mente dai tanti problemi quotidiani.  Non resta che immergersi alla scoperta di questi luoghi incantati e farsi letteralmente trasportare da queste meraviglie.

La Sila è piena di luoghi di culto. Luoghi mistici che rimandano alla riflessione anche quando si è in relax. Luoghi, fra l’altro, bellissimi e ricchi di storia. La Sila crotonese ospita un paese in particolare che dei luoghi di culto ne fa una vera e propria attrattiva. Si tratta di Mesoraca dove sono stati costruiti, nel corso dei secoli, una decina fra chiese e conventi.

Il nostro tour incomincia con la chiesa dell’Annunziata. Dedicata ai Santi Pietro e Paolo, si trova nel rione Annunziata, vicino al castello, nel centro della città vecchia. All’interno ho potuto ammirare anche degli affreschi sulla volta e un dipinto di Cristofaro Santanna. Scendendo poi verso rione Campo, andiamo a visitare la chiesa del Ritiro. Dentro c’è un grande dipinto che celebra la Madonna e, per la sua bellezza, è, sin dagli anni ‘30, dichiarato monumento d’interesse nazionale. Basta entrarci una sola volta per capirne il perché del resto. Basta osservare le campane che sono lì dalla fine del 1700. Se ci spostiamo nei pressi del Monte Giove possiamo entrare nel Santuario del Santissimo Ecce Homo. Arrivati qui ci pervade un senso di pace e possiamo ammirare le tante opere artistiche che lo abbelliscono fra cui la statua della Madonna delle Grazie scolpita nel marmo di Carrara e la statua in bronzo che raffigura San Francesco d’Assisi. Chi vive in questi luoghi racconta che il santuario, nel corso, dei secoli ha ospitato Papa Zosimo e Sant’Umile da Bisignano. Si possono vedere i resti delle mura dell’Abbazia di Sant’Angelo in Frigillo che ha goduto della protezione di Federico II e possiamo visitare la chiesa rinascimentale che una volta era all’interno del Convento dei Cappuccini (dove oggi sorge il cimitero). A Mesoraca, alzando gli occhi al cielo nella zona di Filippa, vedremo il campanile della chiesa di San Michele Arcangelo con i suoi tre altari in marmo e, alle pareti, la raffigurazione delle tredici stazioni della Via Crucis. Il nostro viaggio nei luoghi di culto continua alla chiesa della Candelora che celebra i Santi Nicola e Giovanni Battista, la chiesa della Santissima Immacolata e quella di Longobucco. Il nostro itinerario termina con i resti del monastero di Santo Stefano. Un viaggio adatto ai cattolici e non, perché grazie all’arte, Mesoraca incanta chiunque.