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Parco Nazionale della Sila

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Sono venuta in vacanza in Calabria per la prima volta quest’anno per un weekend.
Me ne avevano parlato alcuni amici amanti della montagna, ma il mio sguardo era sempre rivolto verso il nord da Roma in su.
Poi quest’anno un po’ per mancanza di tempo a disposizione e un po’ per curiosità ho deciso di venire in Sila. Da Bari abbiamo preferito percorrere la 106 jonica anche per fare una visita veloce a Le Castella. Che meraviglia! Da lì quindi ci siamo inerpicati su per le montagne verso il Parco Nazionale della Sila. Seppure disorientati dal viaggio pieno di curve, quando davanti a noi, si è aperto il panorama del lago Ampollino è stato un momento meraviglioso.
Siamo arrivati nel tardo pomeriggio il sole era disteso sull’acqua e irraggiava una luce rossastra che si infilava nei boschi che costeggiano il lago creando giochi di luce entusiasmanti.
Io, mio marito e le mie due figlie siamo rimasti immobili ad ammirare il paesaggio per almeno un’ora circa, in silenzio storditi dalla bellezza dei luoghi.
Sarebbe bastato questo momento per giustificare una vacanza eppure non è stato così nel giorno seguente abbiamo fatto delle meravigliose passeggiate per poi presto rientrare a casa, ma con l’intenzione di tornare l’anno prossimo, perché ci sono luoghi che ti entrano dentro e non ti lasciano più.
La Sila è uno di questi posti. Per parafrasare un noto slogan pubblicitario “La Sila è per sempre”.

Lorica è la casa scelta dal Parco Nazionale della Sila. Fra le tante peculiarità di Lorica c’è quella che vede questo villaggio diviso fra due comuni: quello di Casali del Manco e quello di San Giovanni in Fiore. In realtà, fino al 2017, i Comuni erano tre: San Giovanni in Fiore, Pedace e Serra Pedace ma questi ultimi due sono stati uniti, insieme a Spezzano Piccolo e Casole Bruzio, nell’unico comune che va sotto il nome di Casali del Manco.

Villaggio turistico della Sila Grande, posizionato a 1315 metri sopra il livello del mare, Lorica è fra le mete più visitate dei turisti per i suoi boschi, per il lago Arvo e per le pista sciistiche.

Il posto inizia a diventare un insediamento abitativo all’inizio del Ventesimo secolo, quando iniziano a sorgere i primi capanni in legno abitati dai contadini che lasciavano al pascolo bovini e ovini nelle ampie e verdi praterie. Fino a quel momento, si potevano osservare “soltanto” i pochi resti di un eremo fatto edificare da Gioacchino da Fiore. In località Cavaliere di Lorica si trovano le piste da sci. Ultimamente sono stati realizzati due nuovi impianti di risalita che dovrebbero essere collaudati a breve: uno, il principale, quello di Botte Donato, vetta di 1928 metri, con cabinovia a 12 posti e l’altro da Cavaliere a Marinella di Coppo con una seggiovia a 4 posti. Per adesso possiamo utilizzare una pista blu per lo sci alpino, lunga 3300 metri che scende da 1877 metri a 1405 metri. Esiste anche una pista rossa, alla quale si arriva grazie alla sciovia Cavaliere, lunga 1000 metri mentre nella vicina Valleinferno ce ne sono altre due rosse.

Gli appassionati di sci di fondo possono trovare al passo di Carlomagno, tra Lorica e Silvana Mansio tre anelli di 3, 5, e 7 chilometri.

Era sera. Il buio, fuori dalla finestra del suo appartamento nel centro dell’Europa, era silenzioso e quasi irreale. Sullo schermo del computer scorrevano fotografie in sequenza casuale. Non si accorse subito della nostalgia che stava per attanagliarle lo stomaco. Continuava a guardare, distratta, mentre programmava il lavoro per la mattina successiva e pianificava la giornata.
Le immagini scorrevano, una dopo l’altra.Una in particolare, però, catturò la sua attenzione: era la collina dei cerasi, quell’unico vero luogo che per lei era diventato paesaggio. Ed ecco, improvvisa e dominante, la sinestesia: i colori impastarono sensazioni tattili, un profumo prepotente aprì la strada ai ricordi, prima confusi, poi sempre più nitidi. Le sembrava di sentirlo, quel rumore delle spighe di grano quando soffia un vento leggero, in un pomeriggio di fine estate. Le sembrava di sentire l’odore, intenso, dei campi di patate appena annaffiati. Così, senza opporre resistenza alla mente, che la conduceva per mano per i sentieri della sua più intensa felicità, si ritrovò bambina, serenamente coccolata dalle morbide curve del suo altipiano e da quel cielo azzurro, che sembra ancora più azzurro quando, distesa sul prato, lo vedi a tratti tra il verde intenso dei rami di pino.
Quella bambina, con gli occhi grandi, le palpebre spalancate e le sopracciglia tenute all’insù, quella bambina con le guance arrossate dalle corse in mezzo all’erba alta e pungente, quella bambina che lei era stata e che adesso le sorrideva, la accompagnava oltre il ponte sul ruscello da cui partivano le sue avventure settembrine, quando è ancora estate e la scuola non ha ancora monopolizzato il tempo e la curiosità.
Con gli occhi chiusi, ripercorse con lei il sentiero in salita, assaggiò fragoline di bosco appena colte nel sottobosco, e ciliegie rubate sugli alberi vicino a Torre Camigliati. In un tempo senza tempo, in una stagione che le comprendeva tutte, vide il verde delle foglie trasformarsi in sfumature di rosso, sentì l’odore intenso dei funghi sotto la pioggia, attraversò quello stesso sentiero innevato con le ciaspole ai piedi e lo rivide quando, tra le chiazze di neve gelata, qualche croco preannuncia la primavera. Si sedette sulla cima della collina, appoggiando la schiena al tronco di uno degli alberi in prima fila davanti al campo in discesa. Da lì poteva vedere la sua casa: la mamma stendeva al sole tessuti che avrebbe trasformato in arte, il papà racchiudeva la poesia nel profumo dei salumi.
Rimase a contemplare quelle eterne ripetizioni per qualche minuto. Poi si accorse delle foto che continuavano a scorrere, del buio e del magico silenzio di quella serata, una come tante. In fondo – pensò – la nostalgia è un privilegio. Come guardare la tua casa dalla collina dei cerasi.

Commettiamo tutti un banale errore quando parliamo dei laghi della Sila. Ne contiamo solo tre quando in realtà sono cinque. I più noti sono il lago Cecita, il lago Arvo e il lago Ampollino e più colpevolmente dimentichiamo di narrare e visitare anche il lago di Ariamacina e il lago del Passante. Sono tutti artificiali e i primi tre sono i più grandi e di conseguenza diventano anche i più visitati, ma anche gli altri due sono delle bellezze da scoprire quando visitiamo il Parco Nazionale della Sila. Il più grande di tutta la montagna è il lago Cecita ed è situato in provincia di Cosenza, nei pressi di Camigliatello, nel comune di Spezzano Sila, e le sue sponde toccano anche i comuni di Longobucco e Celico.

Il lago Cecita, che alcuni conoscono anche con il nome Mucone, è stato creato per produrre energia elettrica sbarrando, negli anni Cinquanta, con una diga il fiume Mucone che nasce a Monte Curcio e che arriva fino alla Valle del Crati. Ogni anno attira moltissimi visitatori che, nel tour della Sila, allungano il passo fino al lago Arvo, il secondo lago artificiale della Sila per grandezza. Sorge fra i monti Melillo e Cardoneto, vicino al comune di San Giovanni in Fiore, e racchiude 70 milioni di metri cubi di acqua ed è lungo quasi 9 chilometri e, cosa molto curiosa da sapere, è collegato con il lago Ampollino attraverso una condotta in galleria. Il lago fu creato fra il 1927 e il 1931 bloccando il fiume Arvo e i ruscelli Bufalo e Fiego in modo da realizzare un bacino idroelettrico. Il lago, per le sue caratteristiche, si presta a piccole gare e allenamenti di canottaggio.

La diga del lago Arvo è unica nel suo genere in Calabria perché è realizzata in argilla e terra compatta. Lunga 280 metri, un vero e proprio record per gli anni Trenta, e alta 22 metri era la più lunga e grande diga costruita in Italia a quel tempo.

Il lago simbolo del Parco può, però, essere considerato il Lago Ampollino perché bagna tutte le province che fanno parte della Sila: Cosenza, Catanzaro e Crotone. I lavori iniziarono nel 1916 e all’inaugurazione fu presente re Vittorio Emanuele III perché era il primo lago artificiale realizzato in Sila. L’acqua dell’Ampollino alimenta le centrali elettriche di Orichella, Timpa grande e Calusia. Passate in quest’ultima, le acque raggiungono il fiume Neto, nel crotonese, dove sono utilizzate per l’irrigazione.

E veniamo agli altri due laghi, i “meno noti”. Il lago Ariamacina è il quarto lago artificiale, per ordine di grandezza, realizzato in Sila nella provincia di Cosenza, a circa 1350 metri sul mare. Nell’ottobre 2002 nell’area del lago Ariamacina è stata creata da Legambiente un’oasi naturalistica che tutela gli uccelli migratori che passano o stazionano da queste parti. Per raggiungere il lago e l’oasi di Ariamacina si percorre la strada statale 107 e si esce al bivio di Germano. Dopo pochi chilometri, la strada inizia a costeggiare il lago nei pressi del monte Volpintesta, che con i suoi 1730 metri d’altezza è una delle vette più imponenti della Sila Grande. A Taverna invece, nella Sila Piccola catanzarese, c’è il Lago del Passante conosciuto anche con il nome di Serbatoio del Passante. Il lago è, come gli altri, un bacino artificiale limitato da una diga in cemento armato la cui costruzione è terminata nel 1976. Il lago si trova nei pressi di Villaggio Mancuso e si raggiunge grazie alla Statale 179 che da Catanzaro porta fino al lago Ampollino.

Non a caso viene definito “sua maestà” in alcuni saggi letterari. Fra le praterie della Sila, l’allevamento del maiale rosa è uno dei punti forti di queste montagne. A questo si aggiunge anche il suino nero che è una tipicità del territorio. I salumi e le carni trattate in Sila hanno un sapore genuino al 100% perché il luogo (e tutto quello che racchiude), favorisce gli allevamenti. Se il suino rosa può essere rintracciato in altre parti d’Italia, il suino nero è un animale tipicamente silano. Il suino nero silano viene chiamato anche Apulo calabrese, si riconosce facilmente dal suo pelo nero con le setole belle abbondanti. Attualmente c’è un attento e scrupoloso lavoro di recupero della razza con l’allevamento in stato di libertà e la lavorazione artigianale delle carni. Vari prodotti che nascono dalla lavorazione del maiale hanno il marchio DOP: il capocollo, la salsiccia, la pancetta e, su tutti, la soppressata. La soppressata è il tipico salame calabrese e la sua stagionatura viene fatta in un clima di montagna (o ricreandolo dove non è possibile), che gli dona un profumo e un gusto che la rendono tipica. Per chi viene a far visita ai luoghi del Parco Nazionale della Sila è obbligatorio mangiare, almeno una volta, un bel panino con soppressata o salsiccia con le patate silane, altra eccellenza alimentare di queste montagne.

In Sila, se cerchi qualcosa, qualcosa troverai ogni volta. Me lo diceva mio nonno quando mi portava fra le montagne per cercare i funghi nei boschi silani. Che io mi ricordi, da ottobre (certe volte anche dalla seconda metà di settembre), la mia infanzia era scandita da questo passaggio. Alle prime piogge, dopo l’estate, si andava a cercare con la famiglia i funghi. Solo la nonna restava a casa. Gli altri tutti in prima fila: mio nonno in testa, mio padre, mia madre e mia sorella più grande di me. A me in realtà, da ragazzetto, i funghi non piacevano neanche tanto. Ma andare in giro fra i boschi con nonno era una delle mie attività preferite. Con buona pace per l’ansia di mia madre.

Con un pezzo di legno bello lungo che diventava il suo bastone si andava per i boschi intorno a Camigliatello. Lì vicino a quella che, in tanti, ancora oggi chiamano la strada vecchia per la Sila. Quella che parte da Cosenza e che costeggia la statale 107 e che passa per quelli che, fino allo scorso anno, erano i comuni di Trenta, Casole, Pedace, Serra Pedace e Spezzano Piccolo e che ora sono riuniti sotto il nome di Casali del Manco. Arrivati a Spezzano Piccolo, si faceva tutta una tirata verso Camigliatello dove le uniche forme di “civiltà” le vedevi a Fago del Soldato.

È in questi tratti che andavamo a funghi. Il nonno spostava le felci col bastone e se trovava un fungo buono, lo tagliava via dalla terra con il suo coltello. Io guardavo incantato le sue “scoperte” e ne volevo fare di mie. E quando facevo scoperte mie erano sempre i funghi “vavusi” che io scambiavo, scioccamente, per porcini. Il colore dei “vavusi” era il colore della felicità, quel marroncino dal gambo giallastro quasi bianco era il colore delle parole del nonno che dicevano «Bravo». Ogni tanto, ma raramente ad essere sincero, ci scappava un «Bravissimo!» se trovavo un rosito. Che profumo i rositi con quel loro ombrello grande e tutto rosa. Il mio unico rimpianto di quel tempo, e a pensarci bene anche di oggi, è che non sono mai riuscito a trovare un porcino! E pensare che dalla Calabria questo tipo di fungo è molto esportato. Ma in fondo, in Sila, se cerchi qualcosa, qualcosa troverai ogni volta.

È stata una bellissima estate in un posto magico per me e la mia famiglia. Soprattutto per i miei figli che stanno sempre attaccati a questi dispositivi tecnologici e che, grazie a questi luoghi, ho potuto tenere lontano dagli schermi. Certo che però, a pensarci bene, è una piccola “contraddizione” se penso che il nostro soggiorno alle Valli Cupe è nato grazie ad una prenotazione su AirB&b. Volevamo fare una gita in Calabria e abbiamo cercato un posto bello e che fosse incastonato in uno scenario naturale splendido. È uscito fuori, dopo una breve ricerca e qualche consiglio con amici, che Sersale e le Valli Cupe fossero il posto adatto. Abbiamo trovato un bellissimo appartamento per tutti e noi quattro più il nostro cagnolino. Ci hanno chiesto meno di 30 euro al giorno! Siamo arrivati a Catanzaro, poi abbiamo seguito le indicazioni per Cropani ed eccoci arrivati a Sersale.

Il tempo di sistemarci, di capire bene il posto e via diretti alla Riserva naturale. Con i telefonini usati solo come macchina fotografica. Una guida ci ha spiegato subito che il fiore all’occhiello di questo posto sono le Gole di Razzone e di Barbaro. Pareti vertiginose ci compaiono davanti agli occhi mentre la guida aggiunge che questo è l’habitat di animali anfibi e di diverse piante. Poco più in là lo stupore continua con il Canyon. Il piccolo di casa non la smetteva più di guardarlo e di fotografarlo (almeno non ha usato il telefono per qualche giochino…). Quando la nostra visita sembrava già ricca, ecco che ci fanno vedere due “signori” da diciotto metri d’altezza l’uno. Sono il monolito Petra Aggiallu e il monolito di Misorbo. Fantastici. Tornati nel nostro b&b, con i ragazzi abbiamo rivisto tutte le foto scattate. Un momento bellissimo per noi grazie ad un luogo meraviglioso!

Dante Alighieri, nella Divina Commedia – Canto XII del Paradiso – lo definì “lo calavrese di spirito profetico dotato”.

Gioacchino da Fiore era questo, ma anche tanto altro. Nato a Celico intorno al 1130, terminati gli studi a Cosenza, lavorò nella città bruzia per qualche anno, per poi trasferirsi a Palermo, prima alla Corte Normanna e, successivamente, presso il Cancelliere di Palermo, l’Arcivescovo Stefano di Perche. I suoi contrasti con quest’ultimo, lo portarono in Terrasanta, dove visitò i luoghi della nascita e della predicazione di Cristo. Diventò frate cistercense nel monastero di Santa Maria di Corazzo e in seguito, nel 1177, fu nominato abate. Restò abate di Corazzo per una decina di anni, in cui compilò molte delle sue opere teologiche. Gioacchino viaggiava molto per le sue ricerche, restando per lunghissimi periodi lontano dal monastero, così, nel 1188, il papa lo sollevò dall’incarico di abate e il centro fu annesso all’abbazia di Fossanova. Dopo un ritiro di meditazione sulla Sila, in una località a pochi chilometri da San Giovanni in Fiore, con alcuni seguaci costituì l’ordine, poi detto florense, approvato con una bolla del 1196 da Celestino III.

Proprio sulla vita del monaco e intellettuale cistercense, tra i personaggi più studiati in tutto il mondo, è stato pensato un percorso spirituale e naturale per turisti e fedeli, che unisce il mar Tirreno con il Parco Naturale della Sila. Un affascinante “Cammino di Santiago di Compostela” in versione calabrese, che parte da Lamezia Terme, nel catanzarese e, seguendo i passi di Gioacchino, raggiunge San Giovanni in Fiore in provincia di Cosenza. Un viaggio che miscela i magnifici luoghi che si pregiarono della presenza dell’abate con i gustosi e inimitabili prodotti della gastronomia calabrese.

Si parte dalla chiesa di Santa Maria Verdana di Nicastro, il cui interno, in contrasto con la semplicità dell’esterno, lascia a bocca aperta i visitatori, con il dipinto della Madonna di Costantinopoli – raffigurata fra Santa Domenica e Sant’Eligio – ad attirare maggiormente l’attenzione. Secondo la leggenda, la chiesa fu edificata per volere della stessa Madonna che apparve in sogno a una figlia di Federico II di Svevia.

Da Nicastro si va poi in direzione del borgo di Carlopoli, dove, a contatto con le caratteristiche viuzze e le piazze del piccolo borgo montano della Sila piccola, si ha subito la sensazione di essere stati sbalzati indietro nel tempo. È proprio a Carlopoli che si possono trovare i ruderi dell’Abbazia di Corazzo, talmente affascinanti da lasciare a bocca aperta ogni genere di visitatore. Il monastero benedettino, come già anticipato, fu una tappa fondamentale della vita di Gioacchino da Fiore. L’influsso del monaco celichese permise a Corazzo di diventare un centro ricco e fiorente, promotore di cultura e spiritualità. Successivamente, nel XIV secolo, guerre e carestie segnarono una battuta d’arresto per l’accrescimento delle risorse dell’abbazia, fino a quando nel secolo successivo Corazzo, come tutti i monasteri, si trovò a perdere la maggior parte delle ricchezze a causa dell’introduzione del sistema delle cosiddette “commende” in favore dei potentati locali. Alcune fonti ci raccontano che anche il filosofo cosentino Bernardino Telesio fu affascinato dalla bellezza di quei luoghi e attirato dalla ricchezza della biblioteca dell’abbazia tanto che vi dimorò diversi anni, lasciandosi ispirare dalla magica aria che si respira ancora oggi.

Abbandonato Corazzo, il percorso prosegue tra la natura e attraversando diversi centri silani, fino a Bocca di Piazza frazione del comune di Parenti. Si giunge poi a Lorica, una delle località turistiche più conosciute della Sila Grande. Il lago Arvo, che offre un panorama mozzafiato, è incastonato tra Monte Botte Donato (la cima più elevata dell’altopiano della Sila con i suoi 1928 metri) e il Montenero.

L’ultima tappa porta a San Giovanni in Fiore, il paese più importante dell’intera Sila. Qui sorge l’Abbazia Florense, edificata dopo la morte di Gioacchino. Si tratta di uno degli edifici più imponenti e importanti dell’intera regione. Costruito a partire dal 1215, dopo che un incendio distrusse la prima costruzione voluta dal monaco in località “Iure Vetere”, è situato nel centro storico del paese. La facciata conserva lo stile semplice e povero di decorazioni, a eccezione del portone. L’ingresso è più elevato rispetto all’unica navata. La facciata principale è sprovvista di rosone che è spostato nella facciata opposta. Quello centrale è circondato da altri tre più piccoli disposti a formare un triangolo. Questa composizione potrebbe essere un chiaro richiamo alla Santissima Trinità. L’interno austero e spoglio è espressione dell’influenza cistercense. Nella cripta, in corrispondenza dell’altare, si trova un’urna che contiene le spoglie del monaco. Nel locale a sinistra dell’altare, si possono ammirare le tavole del “Liber Figurarum”.

Dunque, un itinerario emozionante, che unisce cultura e religione, lasciando sorpresi persino i turisti più diffidenti che tendono a raggiungere la Calabria solo per rinfrescarsi con un tuffo al mare.

Francesco Veltri

Il Parco Nazionale della Sila ha un obiettivo ambizioso: diventare Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Le caratteristiche ci sono tutte del resto. Basta solo pensare allo splendore delle risorse naturali che compongono la Sila per capire che questo importantissimo riconoscimento delle Nazioni Unite si addice alla montagna calabrese. Su questo percorso molto sta facendo tutta la dirigenza del Parco Nazionale della Sila con in testa il commissario straordinario dell’ente Sonia Ferrari.

«Arriveranno gli esperti dell’Unesco – ci racconta – che faranno le verifiche sul campo ai nostri beni naturalistici e alle loro caratteristiche. Parleranno con chi vive il Parco e la Sila ogni giorno per capirne l’importanza».

Spiega ancora la Ferrari che: «Se dovesse arrivare il riconoscimento Unesco, questo porterà molti risvolti positivi su tutto il nostro territorio. Basti pensare che già la sola candidatura ha avuto dei grandi meriti mettendo insieme tutti gli interessi e tutti i protagonisti del territorio silano. Tutti i soggetti coinvolti credono in questa enorme possibilità. Noi ci auguriamo di riuscire nonostante le difficoltà del caso, nonostante la concorrenza che c’è, noi ci crediamo».

A sostenere la candidatura del Parco Nazionale della Sila per entrare nella “World heritage list”, la lista di luoghi o beni culturali considerati Patrimonio dell’Umanità, esiste un progetto che si chiama “Sila Storytelling” messo in atto da Officine delle Idee. Grazie a Sila Storytelling, infatti, i visitatori sono protagonisti nel racconto della loro visita nel Parco descrivendo le proprie esperienze e le emozioni provate durante un soggiorno all’interno dell’area protetta spiegando cosa li ha colpiti e quello che magari li ha spinti a tornare. Attraverso il sito dedicato al progetto, alla mail, ai vari social network è possibile lasciar traccia del proprio passaggio in questi luoghi bellissimi.

«Il progetto di Sila Storytelling – spiega Sonia Ferrari – è molto importante per il nostro turismo esperienziale. Diventa fondamentale proprio perché è uno strumento di comunicazione nuovo per raccontare il nostro Parco e lo fa attraverso chi lo visita».

Il sito www.silastorytelling.it farà da centro di raccolta delle esperienze, da “libro” del XXI secolo, e tutti i racconti, i resoconti e le storie inviate resteranno nell’archivio del Parco Nazionale della Sila.

Francesco Cangemi

Un’estensione di oltre settantamila ettari, tre province che ricadono nel suo territorio, altrettante macroaree, cinque laghi, vette altissime, una biodiversità unica nel suo genere. Benvenuti in Sila, la grande montagna calabrese che tocca i territori di Cosenza, Catanzaro e Crotone e che vuole un riconoscimento che moralmente ha già: essere considerata Patrimonio dell’Umanità. Le caratteristiche ci sono tutte per ottenere il benestare dall’Unesco e, proprio in questi mesi, i responsabili della World Heritage List la stanno percorrendo in lungo e in largo.

La natura incontaminata è una delle caratteristiche predominanti della Sila, una natura che è tutelata dal Parco Nazionale della Sila istituito nel 2002 e comprendente anche i territori già facenti parte dello “storico” Parco Nazionale della Calabria istituito già nel 1968.

Un parco che offre ai suoi tanti visitatori bellezze di ogni genere: dalla flora alla fauna, dalle bellezze paesaggistiche alle squisitezze gastronomiche e poi tanto divertimento con la possibilità di praticare diversi sport a seconda della diversa stagionalità: sci di fondo e discesa, trekking, escursioni a cavallo, torrentismo, percorsi in mountain bike e tanto altro.

E arrivare in Sila è molto semplice. È aiutata, infatti, da una posizione che la racchiude fra gli aeroporti di Lamezia Terme e Crotone; è attraversata da una statale che la mette al centro fra il Mar Tirreno del cosentino e il Mar Jonio del crotonese e che, a sua volta, è ben raggiungibile dall’autostrada A2 Salerno-Reggio Calabria e si può usufruire dei bus che dai tre capoluoghi di provincia arrivano alla montagna. C’è la Sila Grande il cui territorio ricade prevalentemente nel cosentino, poi c’è la Sila Piccola che si caratterizza per il suo sguardo verso il catanzarese e dove ci sono alcuni dei villaggi turistici più conosciuti come Villaggio Mancuso mentre la Sila Greca è quella che si colloca verso il Mar Jonio e che osserva la Piana di Sibari e dove la storia ha portato le colonie dall’Albania.

Proprio la storia, la cultura, la spiritualità e la filosofia caratterizzano quella che viene definita la “Capitale della Sila” San Giovanni in Fiore, il più vasto e antico centro della montagna. È qui che l’abate Gioacchino da Fiore fondò il suo monastero e la sua Congregazione.

Se San Giovanni in Fiore può essere considerata la capitale della montagna, se il pino laricio è una delle peculiarità naturali che contraddistinguono la Sila, l’animale-simbolo è il lupo. Il suo mantello ha un colore che cambia a seconda dell’età, delle stagioni e del luogo in cui vive. Fra le montagne della Sila, il pelo del lupo ha un colore bruno e fulvo con sfumature scure ed è simile a quello di un cane pastore tedesco, ma la differenza sta nella testa. Qui il lupo assume un simbolo di sacralità, ne è vietata la caccia ed è questo che ha favorito il ripopolamento di una specie che stava rischiando l’estinzione.

Bellezza, parola dominante in Sila. Basti pensare ai cinque laghi artificiali che la caratterizzano. Tre di questi, il lago Cecita, l’Arvo e l’Ampollino, sono quelli più noti ai visitatori mentre più caratteristici sono quello di Ariamacina e il lago del Passante.

La Sila non è, però, soltanto bellezza paesaggistica ma anche bontà di sapori. La patata della Sila è infatti, prodotto con marchio IGP e sull’altopiano può essere acquistata nelle aziende, nei negozi di prodotti tipici o dai contadini che le vendono nelle località turistiche. La Sila è anche il regno dei funghi che vengono celebrati con tanti eventi e sagre ad hoc, dei latticini e dei formaggi con il caciocavallo silano in testa. In questi territori è inoltre possibile mangiare le gustose carni degli allevamenti di bovini e suini e in particolare del suino nero di Calabria.

Tutto questo non basta a descrivere la bellezza e la ricchezza della Sila. Vi toccherà raggiungere e visitare uno dei luoghi più belli del Mediterraneo e, particolare non trascurabile, economicamente fra i più accessibili.