Mi ha sempre affascinato leggere le storie dei viaggiatori del Grand Tour.
Difficile per me inquadrarli: se considerarli scrittori, viaggiatori, esploratori, folli se considerate che spesso si sono trovati in luoghi e contesti complicati dove nei loro scritti traspare non poco il pericolo, l’incertezza dei posti e dell’incolumità personale messa a rischio.
Per rivivere quanto letto ho deciso di fare un’escursione e ripercorre alcuni tratti del percorso fatto da Norman Douglas. In particolare quello che porta nel centro storico di Longobucco.
Visto da lontano dal lato giusto è possibile ammirare la bellezza del borgo antico libero dalle contaminazioni urbanistiche degli ultimi 60 anni. Incastonato tra le valli silane a difesa dalle incursioni che potevano venire dal versante jonico.
L’elemento più affascinante, raccontato in parte anche da Norman Douglas, è la cultura longobucchese una comunità difficile da raggiungere almeno da quanti arrivano dal capoluogo di provincia Cosenza, a breve invece sarà terminata una strada che lo collegherà alla costa jonica in poco meno di mezzora.
Una comunità che, a causa o meglio per fortuna del suo parziale isolamento, è riuscita non solo a mantenere tradizioni e culture antiche, ma soprattutto quella genuinità e accoglienza rustica che ti trasporta indietro nel tempo, dove i rapporti umani, la curiosità e la voglia di dialogare con lo straniero (ora turista) ha origini ancestrali.
La mia esperienza è stata breve ma intensa.
Sono arrivato in paese verso le 11,30 in una giornata del mese di settembre. I turisti e gli emigranti erano ormai partiti, in piazza un gruppo di longobucchesi di varie generazioni era impegnato chi a giocare a carte chi a dialogare nella piazzetta all’ombra della statua di Bruno da Longobucco.
L’ora chiaramente era quella che anticipava il pranzo quindi mi sono fermato a parlare con due signori di mezz’età cercando di farmi indicare dove poter mangiare e soprattutto cosa chiedere.
Dopo pochi minuti eravamo tutti seduti ad un tavolo di una trattoria nei pressi della piazza principale (a fare un aperitivo nostrano) mangiando sardella (una sorta di paté… di pesce condito con sale e pepe) spalmata su fette di pane casereccio, accompagnata da cipolla cruda e un bicchiere di vino locale.
L’abbinamento tra un cibo salato e piccante con il vino è pericoloso perché: uno spinge a bere per attenuare il piccante e il salato, mentre l’altro spinge a mangiare per contenere gli effetti della gradazione alcolica.
Chiaramente l’aperitivo è durato circa un’ora e mezza dopodiché i nostri amici commensali come se niente fosse, sono andati anche a pranzare (ci hanno anche invitato ma eravamo più che sazi) mentre noi siamo rimasti a dormire sotto un albero nei pressi delle miniere d’argento che chiaramente non siamo riusciti a visitare perché quando ci siamo svegliati era ormai tardi.
Torneremo con più tempo, anzi con il giusto tempo che ci vuole per visitare luoghi dove il tempo ha il ritmo della buona vita.

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