Ciao lettori!
Rieccoci con un nuovo libro.
Oggi voglio parlarvi di “Sud” per due motivi: sia per la potenza di questo racconto (che trovo eccezionalmente evocativo e scritto benissimo) sia per l’autore, Mario Fortunato.

In questi ultimi due anni ho cambiato tanto le mie letture facendole spaziare tra generi diversi (gialli, horror, avventura, narrativa, ecc.), ma sono tanto tanto felice di aver scoperto le saghe familiari, ma soprattutto i libri ambientati nel Sud Italia, e sono tanto innamorata di quelli che parlano della mia terra.

Nella mia ricerca di titoli di autori calabresi e ambientati, appunto in Calabria, ho scoperto Mario Fortunato: nato a Cirò nel ’58 ha conseguito il diploma al liceo classico di Crotone, è scrittore, giornalista, editorialista, critico letterario, traduttore, ha diretto l’Istituto italiano di cultura di Londra, e tra i vari romanzi, racconti e saggi, scrive “I giorni innocenti della guerra” (secondo classificato al Premio Strega 2007 e vincitore dei premi Mondello e Super Mondello).

Sud” è fondamentalmente un racconto e, considerando le mie letture, mai avrei immaginato di trovare così avvincente la sua lettura. Ero inizialmente intimorita dalla mancanza di dialoghi e dalla consapevolezza che avrei trovato non pochi riferimenti storici. Invece è proprio per questo motivo che ho amato questo libro.

Sud” parla di tante cose. Racconta circa settant’anni della storia d’Italia: la migrazione, le guerre, la povertà, la fame, le tradizioni e le innovazioni, il patriarcato, la solitudine, il dolore e la rinuncia (qui penso sempre al violino del farmacista chiuso nell’armadio), l’amore, le amicizie, la solidarietà. Racconta di un’Italia che cambia talvolta in meglio, altre decisamente in peggio, e lo fa attraverso le storie di due famiglie tipiche calabresi: quella del notaio e del farmacista che sono destinate ad unirsi e incrociarsi. Loro sono come due rami dello stesso albero: nascono dallo stesso tronco (la Calabria) e nella loro crescita e vicinanza si riuniscono per dar vita a nuovi rami, frutto del loro legame, con la medesima radice ma generati da nuova linfa.

Il notaio, il farmacista, l’avvocato, Tamara (Mara), Picchio, Erri, Vita, Ernesto, Valentino, Maria la pioggia, Ciccio Bombarda, Luigi detto Sciammerga, sono alcune delle figure che  popolano questo racconto, che vivono la ferocia e la crudeltà della guerra, vivono in un’Italia che cambia e loro insieme a lei, fino a Valentino che lascia la Calabria negli anni della sua giovinezza. Ma è proprio lui che ad un certo punto è costretto a fermarsi e a guardare il passato, con non poco rimpianto. “Quando torna a guardare e ascoltare scopre che le persone non ci sono più, e spesso non ci sono più da molto tempo, le loro vite sono lì, e chiedono di essere raccontate”.

Accade però talvolta che certi pensieri e sentimenti che ci riguardano profondamente abbiano bisogno di tempo e debbano riposare in silenzio, lontano da noi, prima di essere detti”.

Ecco quindi la vera essenza di questo libro: la memoria, non dimenticare, guardare indietro e ricordare, perché chi ci ha preceduto venga ricordato e mai dimenticato, perché le generazioni future sappiano quali sacrifici, dolori e amori, sono stati vissuti. Noi tutti siamo il frutto del passato e diventeremo presto noi stessi il passato, quindi non dimenticare significa non essere dimenticati.

Ricco di riferimenti storici, attorno ai quali il racconto prende forma e vivono i suoi personaggi, questo libro non risulta mai pesante, anzi è ricco di riflessioni. Ma ho amato la penna di Fortuna anche perché è stato in grado arricchire la storia con tante battute che strappano non pochi sorrisi.

Tra le varie pagine Fortunato riporta l’episodio di questo mafioso americano che ritorna in Calabria. Ho trovato delle similitudini ad un noto “personaggio” mafioso che riaffiora da vecchi racconti: Frank Costello (pseudonimo di Francesco Castiglia) di Cassano allo Ionio è stato un mafioso italiano legato alla Cosa nostra statunitense e soprannominato “primo ministro della malavita” dalla stampa statunitense. Ricordo che anche lui ritornò brevemente in Calabria. Mi chiedo se Fortunato non si sia ispirato a lui.

Tra queste pagine ho ritrovato quelle bellissime lezioni di sociologia all’Università, in cui il caro prof. C. interrogava noi studenti sul significato di appartenenza attraverso lo studio dei soprannomi delle nostre famiglie. La classica frase in dialetto: ma tu a chine appartieni?

Oh quanti bei ricordi ha evocato questo libro. Una parte in modo particolare, quando descrive un terrazzo con i vasi pieni di basilico e l’affaccio sulla valle: mi ha ricordato l’infanzia e i pomeriggi trascorsi da mio nonno.

Bello, bello, bello!

E in quegli istanti (…) lui comprese che il passato non è tanto ciò che affiora dalla storia, dalle rovine, dai massacri o dai monumenti, bensì un punto di arrivo individuale”.

Ester

 

Autore: Mario Fortunato | Casa editrice: Bompiani | Anno di pubblicazione: 2020

Author