Iniziamo a conoscere i protagonisti della cultura italiana, scrittori del nostro tempo, senza tempo. Il primo? Gioacchino Criaco. Ha esordito nel 2008 con il romanzo Anime nere, da cui è stato tratto il film omonimo diretto da Francesco Munzi, vincitore di nove David di Donatello e di tre Nastri d’argento.  Il suo ultimo romanzo “L’ultimo drago d’Aspromonte” ,edito da Rizzoli Lizard nel 2020, racconta la storia di un ragazzo che viene portato dalla madre in una comunità di recupero nel cuore dell’Aspromonte. Lo abbiamo “incontrato” e la sua voce ci ha guidato tra le pagine del suo ultimo lavoro, ma anche più in là, verso una visione della sua terra e del futuro che ci attende.

Nel suo ultimo romanzo “L’ultimo drago d’Aspromonte” si percepisce una forza primordiale che poi è quella dei luoghi, di spiriti ancestrali che sembrano animare una terra bella e maledetta come la nostra… quanto il luogo, in senso antropologico, dà significato al racconto e quanto il determinismo ambientale plasma il nostro modo di vivere ed essere?

Il vero protagonista del mio romanzo è l’Aspromonte stesso, più di Ni il ragazzo che finisce nel bosco per rientrare in equilibrio con la natura e avere il suo momento di pacificazione. È un viaggio culturale e antropologico di un ragazzo che riprende il suo posto naturale, uscito dall’incasellamento, dalla morsa della cultura occidentale e riconquista una posizione paritaria con la natura. È una metafora della parabola dell’uomo moderno e del suo ritorno alle origini.

Qualche anno fa, era il 2018, fu molto coraggioso e importante il suo appello a sostegno della riapertura della scuola di Careri. Ritiene che sia indispensabile in un momento come questo ripartire dalle scuole come presidii democratici che sono linfa vitale per un territorio contro spopolamento e abbandono?

Era l’epoca precovid ed io, insieme con altri, ribadivo il diritto di stare nel territorio in cui si è nati, nei paesini interni della provincia di Reggio Calabria. Ribadivamo la necessità della presenza di insegnanti e di scuole anche per pochi studenti. E proponevamo, come rimedio, anche la didattica a distanza che, ora con la pandemia, è tornato un tema attuale. Il fattore determinante, comunque, era la lotta e la resistenza per la presenza di scuole in territori interni.

Questo periodo di chiusura e riflessione oltre a agevolarle la stesura della sua ultima opera, cosa ha prodotto in lei? Finita la pandemia, la cultura italiana su cosa dovrà puntare? Come si dovrà riavvicinare la gente ai luoghi di cultura?

La condizione dell’isolamento è propria degli scrittori. La costrizione però ha portato a ripensare che la corsa al modernismo e al centro, intenso sia in senso fisico sia come ricchezza, ci aveva fatto abbandonare le cose migliori. in un certo senso è stata una rivincita della periferia e della provincia, un recupero di un modello di vita insito nella nostra cultura, che ci porta ad abbandonare le cose superflue e i falsi traguardi e affrontare la fragilità con elementi spirituali salvifici, che è il messaggio contenuto anche nel mio romanzo. L’esposizione alla malattia ci ha spiazzato, credevamo che la scienza fosse onnipotente, in realtà abbiamo dovuto fare i conti con la nostra fragilità.

La cronaca quotidianamente è tempestata di notizie nefaste riguardanti la Calabria. Lei ritiene che quest’immaginario sia falsato e straniante o contenga in sé, parte di verità e nello specifico confida che il popolo calabrese possa risollevare le sue sorti? Se sì in che modo?

È evidente che ci sia una diversa percezione all’esterno della Calabria, una vera e propria falsificazione. Perché? Perché è un racconto fatto da non calabresi, ispirato per lo più dalla cronaca nera che ci ha resi ciò che raccontano di noi che non corrisponde a verità. È necessario un racconto che non sia un necrologio, ma che sia informato dei fatti di una società complessa e noi tutti dobbiamo riprenderci il diritto di compartecipare a un racconto alternativo, senza essere complici di uno sbagliato. È necessaria una rinascita, intesa come presa di coscienza della nostra lunghissima storia, della nostra cultura. I calabresi sono poco consapevoli di loro stessi e così si appiattiscono con elementi consolatori a realtà peggiori o migliori, dimenticando che ogni territorio ha la sua porzione di drammi.

Lei ha la Calabria nel cuore ed è risaputo. Le cronache parlano di una terra piena di problemi e le elezioni sono alle porte. Che cosa consiglia al futuro governatore della sua regione?

Consiglio un atto di coraggio, un richiamo all’orgoglio, ognuno di noi ha una parte di responsabilità, ma chi governerà questa Regione andrà ad assumere una responsabilità maggiore e il mio consiglio è che abbandoni il vizio di curare i propri interessi e assuma una visione collettiva, cosa che nessuna legislatura precedente ha mai fatto.  Più in basso di così non possiamo cadere, quindi occorre mettere il passato alle spalle e sviluppare una progettualità che abbia a cuore gli interessi di tutti, non quelli privati o di una parte di elettorato.

Chiara Ubbriaco

 

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