Alla fine del romanzo più famoso di Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, il protagonista Tomáš ammette di essere felice: “Ma è una felicità paradossale, la sua. Ottenuta non malgrado il suo scetticismo, ma grazie ad esso. Tomáš si sente felice nel momento in cui perde il lavoro e tutto ciò che ha considerato come la propria missione. Bisogna piantarla di pensare che l’ottimismo sia legato alla felicità e lo scetticismo all’amarezza. Direi quasi che è vero il contrario”.

Lo scettico Milan Kundera se n’è andato l’11 luglio a Parigi (dove era emigrato nel 1975), all’età di 94 anni. Ma la sua voce si era spenta da tempo. Era del resto sempre stato un uomo molto riservato. In un’intervista a Philip Roth, aveva confessato: “Quando ero un ragazzino, sognavo un miracoloso unguento che mi avrebbe reso invisibile. Poi sono diventato adulto, ho iniziato a scrivere, e ho voluto avere successo. Ora che sono conosciuto vorrei avere un unguento che mi renda invisibile”.

È stato un grande scrittore, uno dei più grandi della seconda metà del Novecento. Romanzi come Lo scherzo (1967), Gli amori ridicoli (1972: il libro che preferiva perché “legato al periodo più felice della mia vita”), La vita è altrove (1973), e L’insostenibile leggerezza dell’essere (1984) e i racconti de Il libro del riso e dell’oblio (1978), tutti pubblicati in italiano da Adelphi, pur essendo cambiato profondamente il contesto storico nei quali sono nati, rimangono attuali per la bellezza della scrittura, la costruzione dei personaggi e la profondità delle riflessioni filosofiche. Tutti fanno i conti con la morte della cultura nella nostra epoca.

Kundera ha portato l’Europa Centrale all’attenzione dei lettori di quella dell’Ovest, e l’ha fatto con intuizioni universalmente riconosciute nel loro fascino. Il suo richiamo alla verità e alla libertà interiore senza la quale la verità non può essere riconosciuta, la consapevolezza che nel cercare la verità si debba essere preparati a scendere a patti con la morte.

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