Premessa dell’autore Fabio Mastropietro: questo racconto parla di un sogno all’interno di un altro sogno. Non ci sono riferimenti a fatti o persone realmente esistenti o esistite. Ne lascio libero uso a chi vorrà disporne, con la lontana intenzione di poter trarne una piccola popolarità come autore. Buona lettura…

Dunque, quella sera grandinava. Chicchi grossi come mandarini, freddi come granite di ferragosto. Peccato fosse quasi Natale. La minuscola y10 di Marcellino sembrava schivare quelle mini bombe, mentre il nostro, emozionato e impaziente come al solito, percorreva di corsa la Prenestina.

Porta Maggiore era deserta, ormai per strada solo i festoni illuminati, e l’aria della festa. Ma non per tutti, purtroppo. Qualche povera meretrice batteva ancora i marciapiedi di via Cavour, e tra queste c’era Einita, con i suoi bei capelli biondi e una pelliccia di visone, da dove spuntavano, lunghissime e interminabili, le sue splendide gambe. Vicino a lei, una brunetta simpatica e piccolina, Agnieszka.

Marcellino non era ancora arrivato all’appuntamento, all’ora pattuita mancava un po’ di tempo. Era adesso in un cocktail-bar di via Veneto, per una flûte di champagne, come faceva spesso.

“Il solito, signore?”… chiese l’affascinante bar-tender. “Mettici un po’ di ghiaccio tritato, visto come grandina…” scherzò Marcellino.

“Poca gente in giro, stasera..” commentò distrattamente. “A Natale siete aperti?”…

“Certo signore, per la sera del 24 può prenotare, mentre il 25 apriamo alle 12.00 per quattro ore, solo per un brunch. Il 26 invece siamo chiusi”.

“Bene. Vedrò se per Natale mi libero, un brunch non sarebbe male”. E poi salutò.

Ma quello che lo aspettava quella sera, non era esattamente un santo Natale con tutti i sacri crismi.

Prese l’auto e passò davanti al cinema Fiamma. L’ultimo spettacolo era appena terminato, una decina di spettatori infreddoliti lasciavano la sala, rinserrati nei loro cappotti. Non grandinava più, ma in compenso un vento gelido trascinava un nevischio che piano piano assomigliava sempre più a una bufera di neve.

Devo esser proprio pazzo ad uscire con questo tempo, pensava Marcellino. Ma d’altronde, questa avventura mi fa vivere, mi piace, e quindi è giusto così….

Anche Einita avrebbe voluto essere a casa, al caldo. Ma come tutte le sere, la aspettava ben altro. Quella sera in particolare poi, la sua amica Agnieszka sembrava nervosa, guardava spesso l’orologio, come se stesse aspettando qualcuno. Mordeva l’ennesima sigaretta tra i denti, in mano stringeva una medaglietta della Madonna di Lourdes.

Ormai nevicava, e anche forte. L’y10 di Marcellino sbucò da via Depretis. Ma allo stesso istante, lungo via Cavour, arrivò una moto potente con due uomini a bordo, vestiti di nero. La moto si avvicinò rapidamente alla polacca, la quale capì subito tutto, e iniziò a correre la discesa verso via Urbana.

“Scappa Einita, scappa!…” urlò Agnieszka. E furono le sue ultime parole. Il passeggero della moto tirò fuori una pistola, ed esplose tre colpi. La moto sparì in un lampo. Quel freddo marciapiede che aveva calpestato milioni di volte con i suoi tacchi a spillo, ora era bianco di neve: il lenzuolo che accoglieva il corpo esanime di Agnieszka. Gli occhi erano aperti, sbarrati dal terrore, nelle pupille era rimasta fissata l’immagine del suo assassino. Una scia densa e purpurea di sangue correva lungo la discesa, solcando lo strato di neve fresca.

La mano che teneva la madonnina restò immobile, serrata. Ma da quella mano uscì la Signora, che si pose in piedi vicino a lei, e senza che nessuno, tranne Agnieszka, potesse sentirla o vederla, disse:

Teraz słodki i święty duchu,
zostaw to biedne ciało
i wróć do domu niebiańskiego ojca.
witaj tę grzesznicę,
która nazywała się Agnieszka.  Amen

Ciò detto, sparì, e lo spirito di Agnieszka salì in cielo insieme a lei.

Marcellino arrivò un minuto dopo il fatto. Non c’erano altre persone. Non c’era nessuno nemmeno dalle finestre, i palazzi intorno erano tutti uffici, tutti chiusi a quell’ora della notte. Non aveva nemmeno udito gli spari, da dentro l’auto con lo stereo acceso. Ma capì subito che qualcosa non andava per il giusto verso.

Spense la radio, restando in macchina. Dove si sarà cacciata Einita, pensò. Finalmente vide il corpo di Agnieszka. Ma a dieci metri, vide anche un panno ormai semisepolto dalla neve.

La prima cosa a cui pensò, era la fuga. C’era un corpo a terra, sicuramente un cadavere, meglio non impicciarsi. Ma una brutta sensazione cominciò a sfiorarlo: fermò l’auto e scese, si avvicinò a  quel panno bianco di neve. Non era un panno, era una pelliccia di visone. E dentro c’era Einita, sembrava morta anche lei.

“Nooo!!!” urlò Marcellino, squarciando il silenzio attorno. Il terzo colpo. Quel terzo colpo aveva mancato Agnieszka, ma in modo inspiegabile, con una traiettoria maledetta aveva colpito Einita. Una chiazza di sangue le macchiava il body leopardato, all’altezza della milza.

Improvvisamente, a Marcellino comparvero gli ultimi anni vissuti rincorrendo Einita. Il suo primo incontro dietro al Flora, la sua prima volta in un hotel a ore con lei. E poi, tutte le altre volte in cui l’aveva incontrata, a via Veneto, al mare, nei ristoranti del centro. E ogni volta, gli sembrava di doverla riconquistare, per strapparle un sorriso, o per vederla felice di incontrarlo. Pensò a quell’unica cartolina spedita da Pola, durante una delle rare visite di Einita alla figlia adorata: quel “te vogo bene” sgrammaticato e con la scrittura incerta, quasi da scolaretta elementare. E si ricordò anche dell’emozione che lo pervase, nel ricevere quella cartolina…Sentì improvvisamente una grande nostalgia di quei momenti, nel pensare che potevano non tornare più, che Einita poteva essere morta.

Marcellino avvicinò l’orecchio al cuore della ragazza, e sentì che batteva ancora. Non stette più a pensare nulla, sapeva che non doveva muoverla. Le alzò i piedi sopra una borsa, poi chiamò subito il pronto soccorso.

“Presto, in via Cavour, incrocio via di Santa Maria Maggiore, una donna sanguina, sembra quasi morta..” . “Ma lei ha visto come è accaduto?” diceva l’operatore. “No, sono di passaggio, fate presto”…

L’intenzione di Marcellino era quella di aspettare l’arrivo dell’ambulanza, per poi squagliarsela, una volta che avesse avuto la certezza che Einita poteva essere salvata. Ma non andò così, perché mentre vide l’ambulanza arrivare da lontano, alle spalle aveva già una macchina delle forze dell’ordine, senza che se ne fosse accorto.

Dall’auto scesero due agenti, uno dei due si avvicinò al cadavere di Agnieszka, l’altro a Marcellino. “Mani in alto, prego”. Marcellino fu perquisito, poi la domanda: “è stato lei?”…

“No, ero di passaggio, ero passato all’Harris per un drink, poi mentre stavo tornando a casa ho visto…”

“Cosa ha visto?”

Marcellino non voleva dire che aveva un appuntamento con Einita e si era recato apposta in quel punto, dove solo dopo un minuto s’era reso conto di un problema. E non poteva nemmeno dire che avesse visto chi era stato, perché non era vero, non aveva visto nessuno.

“Ho visto una persona a terra, intorno non c’era nessuno, ho pensato fosse mio dovere fermarmi”.

L’altro agente aveva già recuperato un bossolo. “Sembra un’arma russa, una Grach” disse sottovoce al collega, che annuì, guardando in basso. Poi, dopo aver registrato i documenti di Marcellino, disse: “lei deve aspettare, sta arrivando il magistrato e sicuramente le farà delle domande”.

Nel frattempo arrivò l’ambulanza per Einita, e poi il carro funebre per la povera Agnieszka. Ormai per lei era iniziato il rigor mortis. Ci misero un po’ a sollevarla e metterla nella bara di metallo. L’ultimo arto che vi entrò fu la mano che stringeva ancora la medaglietta con la madonnina di Lourdes.

Marcellino la guardava. Non la conosceva. Che cosa siamo, pensava; bastano due buchi nella pelle e siamo finiti…e dentro di sé, recitò una preghiera per quella povera anima.

“Lei conosceva la vittima?”… la domanda del magistrato lo risvegliò da quei pensieri.

“No, ho già detto agli agenti che stavo tornando a casa, dopo un drink all’Harris…”

“Strano”, disse il magistrato, “per tornare verso la Prenestina venendo da via Depretis non dovrebbe passare da via Santa Maria Maggiore”….

Marcellino gelò più della grandine. Se ora questi vengono a sapere che io e Einita ci conosciamo, minimo mi sbattono in galera per un mese. Ma trovò una risposta abbastanza convincente. “Sa, ho imboccato via Depretis che nevicava di brutto. Io non ho le gomme adatte. Quando sono arrivato alla fine della discesa, ho trovato una coltre di ormai trenta centimetri. Per non rischiare di restare impantanato all’una di notte, ho girato per via Urbana che era più libera, e poi ho provato a risalire da quest’altra via”.

Il magistrato lo guardò fisso e con fare severo, come se non credesse a una di quelle parole. Ma per fortuna di Marcellino l’arma del delitto era stata già identificata al 90%, l’origine di quell’assassinio andava ricercata molto probabilmente nella mafia Russa, per cui effettivamente il nostro poteva essere considerato  un passante senza alcuna colpa.

“Va bene, lei può andare. Ma si tenga a disposizione”

“Agli ordini, maresciallo Rocca”, pensò e per fortuna non disse Marcellino, e finalmente montò sulla sua utilitaria, tornandosene a casa.

Ma quella notte, nella sua mansardina all’ultimo piano del condominio in via delle Palme, Marcellino non dormì. Pensava a quella povera ragazza uccisa, pensava ad Einita. Come stava?… La stavano salvando, o era morta anche lei?… come doveva fare per avere notizie senza compromettersi più di quanto non si era già compromesso?… intanto, fuori continuava a nevicare. Come se il Padreterno avesse deciso di pulire tutto quel sangue, spandendoci sopra una coperta bianca e soffice.

Alla fine, ai primi bagliori di un’aurora azzurra come i riflessi della neve, che ormai aveva raggiunto gli ottanta centimetri, Marcellino, stremato, si addormentò…

Bum-bum-bum!… Bum-bum-bum!!…Bum-bum-bum!…

Un bussare forte, violento ed insistente fece sobbalzare dal letto Marcellino, che dormiva profondamente. “Vengo, vengo!”… disse, mettendosi qualcosa addosso. Grande fu la sua sorpresa quando, aprendo la porta, vide un mostruoso esemplare di eunectes murinus, volgarmente noto come anaconda verde, il serpente più grande del mondo, scoperto, manco a dirlo, da Linnaeus nel 1712.

“Sei tu Marcellino Dallepalle?”… chiese l’anaconda. “Sì, sono io” rispose Marcellino.

“Devi venire con me, il magistrato vuole farti qualche domanda a proposito di quello che è successo ieri sera a Santa Maria Maggiore”. “Ma io ho già parlato col magistrato, e poi lei chi è, si qualifichi…”

Gli anaconda di pazienza ne hanno poca, si sa: avvolse immediatamente Marcellino nelle sue spire, e insieme a lui rotolò lungo le scale fino a piano terra. Senza fare troppe storie, prese il malcapitato e lo mise nella borsa di Gornano, il mite Pellicano.

Questi faceva praticamente da postino al Grande Tribunale, e con Marcellino nel becco decollò e poi si diresse verso Monte Mario. Durante il viaggio, cento altri pellicani portavano gli imputati da e verso il tribunale. “C’è traffico oggi, perché non la smettete di compiere reati, così noi lavoriamo di meno?”… Chiese Gornano a Marcellino, che portava nel becco. “Ma io non ho fatto nulla…” tentò di giustificarsi Marcellino. “Come no, dite tutti così, poi però finite tutti nella Grande Laguna”….

La Grande Laguna era il luogo di pena, un acquitrino fangoso popolato da enormi ippopotami, che si contendevano i condannati con dei Gaviali mai visti. Era alloggiata nel vecchio ippodromo di Tor di Valle, ormai in disuso da decenni.

Arrivato alle pendici di Monte Mario, Gornano sganciò Marcellino sul tetto del Grande Tribunale come fosse una bomba della seconda guerra mondiale, poi sparì. Per fortuna, i due metri di neve caduti la notte prima, attutirono il colpo.

Ad attendere il nostro, due lupi marsicani, che con zanne ben appuntite lo afferrarono per la collottola, lo portarono nella Grande Sala dei Processi, dove lo aspettavano giudici ed avvocati. “Ahuuuuu…” ululò il lupo che depose Marcellino sulla Grande Ruota del Tribunale.

Ahuuuuu!!!… ululò il Lupo Custode dall’interno, che morse Marcellino per la cintola dei pantaloni del pigiama, e lo portò dietro le sbarre, sul banco degli imputati.

In aula, oltre ai giudici e agli avvocati, c’era anche il pubblico, naturalmente: mille Macachi scatenati, che già grugnivano e si agitavano con versi orrendi, in attesa dell’imputato.

Il Grande Cancelliere, un superbo esemplare di Ramphastos Toco, volgarmente noto come Tucano, dal manto multicolore e grande il doppio della media, esordì annunciando: “Tutti in piedi, entra la Corte”.  Poi, visto che Marcellino era rimasto impietrito dal terrore sulla panca a lui destinata, urlò: “IMPUTATO, SI ALZI!!!”, facendo cenno al Lupo Custode, il quale provvide subito a mordere Marcellino sul polpaccio sinistro.

Entrò finalmente la Corte:

  • Prima i Grandi Collaboratori, scelti tra i migliori Corvi della città, neri come la pece, con la loro brava cartellina sotto l’ala. Si accomodarono sulle loro belle poltroncine di velluto rosso, e manifestarono la loro soddisfazione per averle trovate di loro gradimento, con un “Cra-cra” sonoro e devastante
  • Infine, entrò il Grande Giudice: un rarissimo esemplare di Aye-Aye, lemure del Madagascar, animale avvolto da fama abbastanza sinistra. La leggenda vuole che sia un demone, e si racconta che questo animale così bizzarro avrebbe la capacità di uccidere una persona soltanto puntandole contro il dito di una zampa.

I Macachi in Aula non si tenevano più, erano scatenati, e urlavano “Grande-Laguna! Grande-Laguna! Grande Laguna!”

Il Grande Cancelliere li zittì col verso tipico dei tucani, e disse: “La parola al Giudice!”

Il giudice esordì con una vocina flebile, stridula:

“Imputato Marcellino Dallepalle, nell’ imminenza dei fatti lei ha dichiarato di essere in via Santa Maria Maggiore solo di passaggio, dopo essere stato all’Harris per un drink. È vero questo?…”

“Sì, signor giudice”, rispose il nostro eroe.

“Ebbene, noi abbiamo esaminato la rubrica e il registro chiamate del cellulare della signora Einita Markovic, ed abbiamo trovato non solo il suo numero, ma anche numerose chiamate fatte da Lei, la sera del delitto. Come lo spiega questo?…”

Marcellino sbiancò, se possibile era più terrorizzato di prima. Pensò subito che sarebbe stato ritenuto responsabile di tutto, tanto al giudice cosa importava, serviva un colpevole da dare in pasto ai coccodrilli nella Grande Laguna, serviva riempire di titoloni i giornali del giorno dopo, per cui….

“È vero, ero un cliente di Einita”.

“Per me è sufficiente. L’avvocato difensore ha qualcosa da dire?”

Seduto al suo posto, l’avvocato era un micetto nero di un mese di vita, che dopo aver esordito con un “miao!” si limitò a dire: “mi rimetto alla clemenza della corte”.

“Bene” Disse l’Aye-aye, “la corte  si ritira per deliberare”. Dopo nemmeno un minuto, rientrò tutta la Grande Corte del Grande Tribunale, e il giudice lesse la sentenza:

“Imputato Marcellino Dallepalle, lei è stato riconosciuto colpevole dell’omicidio di Agnieszka Wizlew, che ha fatto fuori perché intralciava l’attività della sua assistita, Einita Markovic. Poi ha sparato anche alla sua assistita, ferendola non gravemente, per ottenere rispetto e obbedienza. La pena prevista è la Grande Laguna, con esecuzione immediata. Così è detto.”

Un boato di approvazione emerse dalla folla dei mille macachi,  mentre il Grande Custode, per mostrare di aver compreso la Sentenza, si produsse in un “Ahuuuuu” talmente prolungato che il giudice gli impose di smetterla.

Prese il povero Marcellino per la collottola, e lo affidò di nuovo a Gornano, il mite pellicano. Il quale disse con accento ciociaro: “alla Grande Laguna, vero?… che ce voi fà Marcellí, oggi a te, domani… sempre e solo a te!…”

Imboccò il nostro eroe, e si avviò volando verso la Grande Laguna non distante, dove già cento coccodrilli affamati aspettavano il loro pezzo di carne quotidiano….

“Io non ho fatto nulla, sono innocente. Lo dica, Gornano, al giudice, sono innocente”…

“Eh, oramai è tardi. È tardi…” e sganciò di nuovo Marcellino come una bomba della seconda guerra, stavolta sopra la Grande Laguna. I mille Macachi si erano trasferiti tutto intorno alla laguna per godersi lo spettacolo, e nell’attesa battevano gli alberi con dei bastoni:

Bum-bum-bum!…Bum-bum-bum!…Bum-bum-bum!

Bum-bum-bum, bum-bum-bum…..Era di nuovo qualcuno che bussava alla porta della mansarda di Marcellino, stavolta per davvero, e per svegliarlo da quell’incubo. Marcellino finalmente si svegliò, era tutto sudato, il cuore che gli andava a mille. Finalmente si rese conto di dov’era, e disse: “vengo, vengo subito…”

Aprì la porta: non era un anaconda, era Einita, più bella che mai nel suo vestitino leggero pieno di colori. “Allora amore, ti svegli o no?…”

“Ma…ma tu non eri….”

“No, io non ero, adesso ti sbrighi a vestirti che andiamo al mare?…”

“Ma come, non nevica?…”

“Per questo ti amo, perché sei più pazzo di me…. Ti aspetto in macchina”.

Marcellino eseguì, si mise il costume, preparò la borsa da mare e scese: “sarà questo clima impazzito”, pensava mentre scendeva le scale. Una splendida Ford Mustang Cabrio rosa, aperta e con Einita al volante, lo aspettava.

E se ne andarono verso il mare, come in quel film con Sharon Stone e Silvester Stallone

No….come la scena finale del film “Innocenti bugie”, con Cameron Diaz e Tom Cruise.

E sul cruscotto, un magnetino con una foto: quella di Agnieszka naturalmente, che sorrideva strizzando l’occhio e salutando….

E vissero felici e contenti. Fine

Fabio Mastropietro

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