Lui, rintanato negli angoli più cupi di quelle grigie aule.

Lui, che risiedeva e si accucciava dolorante e bruciante nelle fiamme dell’ade, che l’avevano preso con sé, non per amarlo, ma per torturare le sue membra.

Lui, che con quella giacchetta nera di pelle e quella maglietta bianca, voleva far credere di essere il più forte, il più uomo e ribelle di tutti, quando invece sotto quel velo, che aveva nascosto i suoi occhi, brillava quella purezza della natura, impetuosa e incontaminata dai tocchi dell’uomo.

Lui, occhi di vetro, che non vedeva più il mondo, non ne godeva nemmeno il minimo aspetto, e viveva nelle sue ferite che non ricuciva mai, senza accorgersi, che sotto quell’aspetto da divinità, c’era la purezza di quell’amore mancato e da lui tanto desiderato.

Ogni mattina, dopo aver percorso il sentiero che portava a scuola, e la sua altezza disumana, il suo volto macchiato da forme puntigliose e pungenti, occhi di vetro, non aveva altro amore all’infuori del silenzio. Nascondeva briciole di pane nelle sue tasche, e nemmeno alla più bella papera del parco dove passeggiava, offriva quelle briciole, che fosse stato per amore o anche per la sola pietà. Entrava nei corridoi, in solitaria, seguito solo dalla sua stessa ombra, che lo accompagnava sempre e ovunque, e gli altri compagni lo guardavano e lo deridevano appena ne avevano la possibilità.

«Occhi di vetro! Occhi di vetro!» urlavano alla sola vista.

«Guardatelo… Occhi di vetro!» lo umiliavano, ma in fondo di lui, questi ragazzi ne avevano una paura oscura, ombrosa, di opaca brillantezza.

Lui non si rendeva conto che non era occhi di vetro, lui era occhi di amore. Non sapeva guardarsi dentro, non riusciva a esprimere il suo potenziale, per il passato, che lo avevo chiuso tra le sue stesse celle. Non si rendeva conto che era vittima e carnefice nel medesimo istante. Occupava il banco all’ultima fila, non esalava respiro, non bisbigliava pensiero, non si limitava al silenzio, ma al totale evitamento di ogni forma e persona che entrava in contatto con lui.

«Occhi di vetro, sei uno sfigato, devi morire!» berciò uno durante la ricreazione. Il bulletto della scuola, il vero sfigato che dava dello sfigato all’unica persona da cui avrebbe potuto trarre insegnamento. I giorni immancabilmente erano così ed era inevitabile per lui, tanto che ormai era  abitudine, e le sue non risposte valevano più di ogni parola pronunciata. Si avvicinò una dolce ragazza, che accostata alla macchinetta lo fissò un po’, prima di decidersi a parlare con lui.

«Perché ti chiamano Occhi di vetro?» domandò Nina.

Nina, la nuova ragazza che era appena arrivata in quella scuola, trasferita da chissà quale città, non era a conoscenza di nulla che in quella pausa non fosse solo l’insulto verso occhi di vetro.

Non pensava che parlandoli avrebbe rovinato la sua reputazione con tutta la scuola.

Ma in un solo sospiro, lei esordì verso di lui:

«Allora, perché occhi di vetro?».

La guardò con occhi chiari e sbiaditi, grigi e naufraghi come temporali in mezzo all’oceano. Nina fu folgorata, notò i pianti che alberavano nelle sue iridi colme di cupezza e terrore, ma in cui lei con accuratezza vide il mare limpido, il sole splendente, e in uno sbuffo di fumo vide l’amore in lui.

Nina e occhi di vetro… che relazione di fantasia, surreale e malconcia.

Noi due, fatti per stare insieme e respirare l’aria malata e condita di lietezza.

Nina e occhi di vetro.

Lui la guardò e berciò: «Occhi di vetro… perché non parlo, non rido, non sorrido, sono all’ultimo banco e sono un tipo strano… credo…».

«Ah! Pensavo qualcosa di più grave, io credo tu abbia occhi grigi e sublimi!».

Esclamò con spontaneità, talmente irruenta da suscitare in occhi di vetro il più incredibile dei doni da lui tanto desiderato. Per la prima volta qualcuno lo vide, lo toccò sul braccio, come a dire “mi prenderò cura di te, non sei da solo” e lui scoppiò in lacrime.

Non era più occhi di vetro, si erano sciolti negli occhi di Nina ed ora era pronto a uscire dagli inferi e andare verso l’eterna fonte della giovinezza.+

L’amore.

Non era più occhi di vetro. Ora era Mike. Ora poteva essere Mike, magari insieme a Nina, la ragazza che le aveva tolto il velo dai suoi occhi e l’avevo reso libero.

Luca Maglio

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