Guido Mignolli

“Qui comincia l’avventura…”

In questa città non succede mai nulla! Una assoluta noia provinciale. Sempre le stesse cose, la sera nessuno per le vie, silenzio da incubo, solo pioggia e vento a scompigliare i tetti, auto ferme, luci immobili.

E se invece, dietro questa apparente monotonia, visibile solo a pochi ci fosse un mondo in fermento? Se il viaggio ‘tranquillo’ nella solitudine della città in piena notte, dipendesse solo dall’incapacità di vedere le cose che succedono oltre il ‘nastro’ stradale, pure lì vicino, dietro la fila di auto parcheggiate lungo il marciapiede?

Chissà a levare veli e bende davanti agli occhi, uscire dalle nebbie in cui si è immersi, ‘spostarsi’ nell’altra dimensione che si muove accanto?

Se bastasse soltanto alzare un po’ lo sguardo al di là del finestrino dell’auto? O abbassare il volume della radio, per cogliere i rumori della notte?

O magari, predisporsi ad accogliere con il sorriso e con la serenità, aprire il cuore e la mente all’altro, coltivare l’entusiasmo? ‘Leggere’ le cose che accadono, al di là dell’apparente banalità dell’evento, per coglierne l’essenza vera, la diversità, lo spirito, la singolarità? Stupirsi come farebbe un bambino…

L’avventura è dietro l’angolo.

Un’anatra nella notte urbana

Che stanchezza, quella sera! Un ultimo sforzo prima dell’agognato tuffo sul divano. Accompagni tu a casa le compagne della nostra figliola? Certo, andiamo.

Non è così tardi, eppure nessuno per le vie. Forse per l’improvviso colpo di coda dell’inverno e la pioggerellina leggera, ma fitta, fastidiosa. Umidità da mal di cervicale, e voglia solo di rintanarsi in casa, tra il brodino e una coperta sulle gambe.

Davanti all’ingresso del palazzo, con le ragazze che salutano, una breve attesa fino a che il portone non si chiude e loro non raggiungono l’ascensore. Poi, via verso casa; tanto sarà un lampo, nel deserto delle strade.

Rapida marcia indietro, un giro completo di sterzo e… un bagliore. Chissà… Qualche altro temerario, spedito fuori casa dalla moglie. Di più che un bagliore, lì all’incrocio. Un’auto della polizia e una dei vigili urbani, altre ferme ad osservare. Un vero e proprio assembramento, materializzatosi in attimi. Sono sicuro di non averlo visto pochissimi minuti prima. Com’è possibile? Sono passato da lì… Forse sono così stanco, da non rendermi conto di quel che mi succede intorno… Magari sono arrivati ora… Troppi, per non averli notati, venendo. Vabbè…, che importa, quello che conta è rientrare a casa il più rapidamente possibile.

Però, che strano! Che cosa staranno facendo? Mi avvio lentamente, cercando di guardare verso le luci e le persone. Percepisco aria di preoccupazione, gli uomini in divisa che si muovono con fare circospetto, alcuni che sembrano pronti a un duro inseguimento, con un’ombra bassa che tenta di sfuggire loro. I tanti presenti immobili, quasi a fare corona intorno per proteggere qualcuno. O forse per non farlo scappare via.

Un’ombra bassa?!

La curiosità aumenta, ma anche la stanchezza da 4 ore di macchina nella giornata. Auto, dietro, scalpitano. Ma che cosa sta succedendo? Non ne avevo incontrata una, nel percorso di andata!

Basta! Vado via. Sono stanco. Voglio rientrate a casa. Sdraiarmi sul divano e addormentarmi.

Ma il piede non spinge sull’acceleratore. Come se una parte del mio cervello avesse preso una decisione diversa. Quella parte che è stata anestetizzata negli anni, messa a tacere, soffocata. Che odia i divani…

Che ha colto una breccia irrisoria e si è incuneata con tutte le sue forze.

Che sta combattendo, come se fosse l’ultima speranza.

Le auto dietro sono nervose, mi superano con rabbia, capisco che hanno solo il miraggio di casa. Non riescono a vedere oltre, sono sul nastro automatico che li guida in unica direzione…

Sopraffatto dai contrasti interiori, anche infastidito da queste lotte nel profondo del mio cervello, procedo con sforzo, allorquando l’assembramento si fa rumoroso, urla degli agenti, grida di stupore degli spettatori. Non lasciarti coinvolgere, procedi. Lentamente, ok, ma procedi. Poi, una sensazione indefinibile, una di quelle diverse, che sembra introdurti in un mondo aperto, aria, ampi orizzonti, in connessione con l’universo. Un’ombra che si riflette sull’auto, la supera, per andare a planare più avanti, al di là della fila di auto parcheggiate.

Che cosa era?

Ma perché, domando a me stesso, ti stai così interessando? Un grosso uccello. Niente di più! Ora basta davvero! Torniamo al caldo… Via, con decisione, verso casa.

No. Come era bella quella sensazione appena vissuta. Sto penetrando in un’altra dimensione. Senza rendermene conto, faccio inversione. Ritorno verso il punto in cui ho visto atterrare l’ombra. Già la folla si è dileguata. Avranno dato per irraggiungibile ormai la loro ‘preda’.

Mi fermo, scendo e con circospezione mi avvicino, mi sporgo dalla strada verso il marciapiede e dietro una grossa auto, lo vedo. Eccolo lì!

Bellissimo. Colorato. Regale.

Uno splendido germano reale, con la testa verde brillante, sino al collare bianco, Non ve ne sono tanti dalle nostre parti, e questo sembra particolare. È stanco, come da un lungo viaggio. Mi vede, ma non si muove. Mi osserva. Gli occhi risaltano alla luce dei lampioni. Colgo il suo disappunto. Ma come hai fatto a trovarmi? Ho seminato tutti quelli e mo’ sei arrivato tu! Perché non mi lasciate in pace!?

Mi lascio coinvolgere. Siamo soli nella notte urbana. Immobili. Pian piano, l’atmosfera si distende. Mi pare di entrare in sintonia, in una sorta di comunione telepatica.

E parte il racconto.

Come è bello lo stagno, sotto il sole africano, l’acqua è calda, la compagnia è vivace. Il cibo non manca, è delizioso. La vita sorride. Sto crescendo, insieme ai miei fratelli e alle mie sorelle. Spensieratezza e gioia, giochi durante il giorno, la notte protetti dai nostri genitori e da tutti i grandi del gruppo.

Poi, i sorrisi si attenuano, si tramutano pian piano in preoccupazioni per l’imminente viaggio. Un viaggio per tornare nell’estate europea, allevare i piccoli in un clima mite, più facile per sfamarsi.

Gli ultimi momenti di felicità. Il fruscio del vento fra gli alberi non copre i rumori che anticipano il dramma. I vecchi volano via per attirare a se l’attenzione dei fucili. Il crepitio dei colpi è spaventoso. Vedo molti dei miei fratelli e delle mie sorelle cadere nell’acqua e sulla sponda, ancora idealmente sorridenti per la gioia che stavano vivendo. Sono come paralizzato, incapace di qualsiasi decisione, d’istinto mi immergo e nuoto verso la riva opposta, risalgo e volo via il più lontano possibile.

Trovo un nascondiglio su un grande albero, riparato dal tronco e dal fogliame fitto. Sono così confuso e terrorizzato, che neppure riesco a rendermi conto di quanto è successo. Vorrei piangere, ma non ce la faccio. Mi addormento.

Riapro gli occhi che è quasi sera, ritorno in me stesso, ripercorro gli eventi, poi provo a raggiungere gli altri. Non siamo più tanti, anche mio padre non è rientrato, come quasi tutti gli altri anziani; la mamma è distrutta dal dolore. La decisione del gruppo è di partire già all’indomani, lasciarsi dietro dolore e lacrime“.

Il volo all’alba, nell’azzurro fra mare e cielo, mi riconcilia con il mondo e con me stesso. Mi alterno con i più giovani alla testa dello stormo, mentre osservo mia madre, che ha lo sguardo assente e va come spinta da una forza esterna. Il silenzio aiuta e per qualche attimo dimentico e ritrovo la felicità perduta.

All’imbrunire, la stanchezza ha preso tutti, e come indirizzati da un comando, ci abbassiamo verso l’acqua per riposare. Mi accorgo che la mamma scende con rapidità, troppa rapidità… Sto per dirigermi verso di lei, per aiutarla, ma una delle mie sorelle mi trattiene. Insieme, la vediamo sprofondare nel mare. Bastano pochi attimi per comprendere che non risalirà più”.

“Un’altra notte dolorosa. Seppur cullato dalle onde lievi, non riesco a dormire. Ho timori, come se attendessi da un momento all’altro di venire fagocitato da un mostro marino scaturito dalle acque. Sento che anche molti dei miei compagni di viaggio sono svegli e spaventati.

Il sorgere del sole è una liberazione. Ci rimettiamo in volo diretti verso il nord. Ma già dopo poche ore mi rendo conto di non farcela. Fermiamoci nel sud, provo a suggerire al gruppo. No, rispettiamo il programma che avevano fatto gli anziani.

Avanziamo come automi, finché finalmente avvistiamo la nostra meta; scendiamo verso terra, in un luogo ameno, tra il verde vivo della vegetazione e lo specchio d’acqua del grande lago. Siamo così esausti, che nessuno oppone resistenza, cadiamo sotto i colpi come se fosse naturale, quasi una liberazione, la fine di una storia preannunciata.

Perché, mio Dio, permetti che tutto ciò accada? Poi, viro in volo, sostenuto da una forza sconosciuta, senza patemi. Stanchezza e dolore profondo mi hanno levato ogni capacità mentale. Torno indietro, senza meta, solo. Solo!”

“Sono solo. Vado così, in attesa dell’epilogo. Non ho progetti, né voglia di pensare. Il buio non frena il mio volo meccanico, ma ora non ce la faccio proprio più. Mi lascio attirare dalle luci della città e atterro malamente sull’asfalto. Che cosa, adesso, porterà alla mia fine? Meglio ‘raggiungere’ gli altri, i miei genitori, i miei fratelli, le mie sorelle. Per qualche minuto mi ‘assento’, mi ritrovo circondato da tante persone, luci puntate su di me. Un ultimo sforzo mi consente di fuggire via“.

Cosa farai, adesso? Non lo so. Hai fame? Ho solo voglia di chiudere gli occhi. La città è pericolosa, di notte. Pensi che mi importi, a questo punto? Potrei aiutarti… Ognuno di noi ha la sua strada. L’uomo non è sempre così cattivo. Capisco che siamo pedine in una scacchiera incomprensibile. Puoi ritrovare la felicità.Vorrei tornare indietro.

L’impulso a fare qualcosa per lui mi spinge a compiere un passo avanti. Troppo. Il volo stavolta è deciso, appena sopra la mia testa, e poi sopra le luci dei lampioni, sopra gli alberi, fino a scomparire alla mia vista, come inghiottito dalla notte urbana.

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