Sono sempre stata un’appassionata di occultismo. Qualsiasi posto io visiti, voglio sapere se ci sono leggende legati ai luoghi. Mi è capitato anche nella mia visita a Matera come Capitale europea della cultura 2019. Ma la storia che ho deciso di raccontare qui nel progetto MateraStorytelling non riguarda la città capoluogo bensì un paese della provincia. Si tratta di Colobraro che, come la tragedia shakesperiana di Amleto, pare non si possa nominare perché causa disgrazie. Chiariamoci: a me piace conoscere queste storie “nere” ma non ci credo. Dopo avermi raccontato di Colobraro, ho sentito subito nominarlo non per nome ma come “Quel paese”. Non si può proprio nominare. Allora, incuriositami ancora di più, ho chiesto spiegazioni. Me le hanno date sul posto. Siamo prima della Seconda guerra mondiale. I venti di ciò che di terribile sta per arrivare giungono, ancora, come una eco lontana. Un importante signorotto del paese, dicono un avvocato molto noto ma non mi riferiscono il cognome, disse che se non stava dicendo il vero su un determinato fatto potesse cadergli un lampadario alla fine della frase. E così fu. Il lampadario, secondo molti qui a Colobraro, cadde. Si ruppe. Davanti agli occhi sbigottiti di chi aveva ascoltato l’avvocato. Da qui la cattiva nomea per questo povero paese. Alcuni invece dicono che questo brutto nome sia frutto di una fotografia di Franco Pinna che immortalò una magara del posto negli anni Cinquanta. Proprio Pinna faceva parte di un gruppo di studiosi che comprendeva l’antropologo De Martino che raccontava di aver assistito ad episodi di sfortuna. Non lo so. A me mi sembrano tutti molto cortesi ed educati. Nulla che valga la nomea di “paese senza nome”. Non è giusto. Non lo meritano. Anche perché ci sono tante cose da vedere come i resti del castello o il convento francescano o la chiesa di San Nicola. Insomma, ecco il mio appello: visitate Matera, quest’anno, ma visitate anche Colobraro.

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