Non so a cosa stessi pensando.

Probabilmente a niente.

Forse alla figa.

O alla caduta del governo B., costantemente in onda alla televisione.

Oppure è molto più plausibile che fossi scoglionato perché quel giorno un altro dei miei racconti o romanzi

era stato rifiutato da un’editrice di 22 anni che non aveva mai realizzato nulla in vita sua.

Succedeva in continuazione. Spedivo i miei lavori dappertutto, ma non riuscivo a capire che cosa volessero.

Se scrivevo a modo mio, non piacevo. Se scrivevo come una gentildonna-cosa che mi riusciva molto bene-

non lo apprezzavano. Forse dovevo mandarli in un altro Paese-o in un altro continente, in Europa.

Magari laggiù mi avrebbero capito. Ma non conoscevo il francese, non sapevo una parola di tedesco o di

svedese, quindi come avremmo fatto a comunicare?

A rendermi ancora più perplesso era come riuscisse uno scrittore a crearsi anche solo un piccolo

pubblico. Ogni volta che prendevo tra le mani qualcosa che il Corriere della sera esaltava, restavo lì impalato

a grattarmi la testa. Pretenzioso….prolisso…monotono…noioso.

Ma quelli erano gli scrittori di cui si sapeva tutto: le lauree che avevano conseguito, l’infanzia trascorsa

a viaggiare per il mondo, i premi vinti e le borse di studio ricevute, i genitori insegnanti oppure artisti

rinomati. Ogni giorno al mio risveglio mi dicevo di lasciar perdere la scrittura, di farla finita con questa

situazione, poi tornavo sui miei passi alla ricerca di nuove umiliazioni…

Ma lasciamo stare…

Stavo per andare al supermarket. Trovo che andare a fare la spesa sia un’attività meravigliosa perché libera

la mente da questioni più importanti come: la scrittura, le bollette e il futuro. Una volta tanto si

rimugina se sia migliore il branzino o la platessa, o se sia meglio comprare il provolone o il formaggio

svizzero, piuttosto che su l’ultima sconfitta, su cosa non funziona in te e il motivo per cui sei sempre

così rabbiosamente insoddisfatto della tua vita.

Ero impaziente di spingere il carrello della spesa per una mezz’ora….

A quel tempo vivevamo in un appartamento ai piani alti vicino al fiume, direttamente dall’altra parte delle

luci baluginanti del cuore di M…

Mio figlio era molto piccolo, aveva solo qualche mese, e dato che l’appartamento era stretto e angusto, mia

moglie era costretta a fargli il bagno nel lavello della cucina. Il posto auto che avevamo affittato nel

seminterrato del palazzo ci costava 250 euro al mese, ma non potevamo rinunciare alla macchina perché di

tanto in tanto sentivamo il bisogno di evadere.

Era una Saab verde-foresta che mia moglie aveva finito di pagare pochi anni prima. Tutto quello che

avevamo, tranne il computer e la chitarra, era in realtà suo. Quando sei un artista-un aspirante

artista, come direbbe qualcuno-che non guadagna, devi scendere a compromessi. Sotto certi aspetti è un

modo di vivere tremendo, ma se vuoi essere disturbato il meno possibile per poter scrivere, o dipingere, o

fare qualsiasi altra cosa, devi imparare ad adeguarti alle circostanze.

Dal momento che non ero né King né Grisham, tentavo sempre di adeguarmi alle circostanze…

Comunque, come ho detto, ero perso nei miei pensieri.

Avviai il motore, accesi la radio, feci retromarcia…e andai a schiantarmi in pieno contro il primo pilone di

cemento. Quando sentii il fracasso del metallo e il vetro che si sbriciolava, mi resi subito conto che si trattava di qualcosa di grave.

E non avevo nemmeno bevuto.

“E questo da dove cazzo spunta fuori?” imprecai.

“Merda!”

Aprii la portiera, timoroso di guardare e, come volevasi dimostrare , c’era un orribile squarcio delle dimensioni di una palla da basket nella parte posteriore della carrozzeria sul lato passeggero.

Bestemmiai nuovamente. E ancora e ancora. Laura stava avendo ogni sorta di problemi al lavoro, le cose erano instabili, i miei guadagni insignificanti, quindi anche un piccolo incidente come questo poteva risultare in una catastrofe.

La vita mi lasciava sempre ben poco margine di errore.

Ero sul punto di sbroccare. Risalii in macchina, rimasi seduto e provai a rifletterci sopra.

Dopo averle distrutto la macchina, non avevo voglia di affrontare mia moglie.

Già Il bimbo la teneva sveglia a tutte le ore, e l’ultima cosa che desideravo era procurarle ulteriori pensieri che le togliessero il sonno.

Beh…dal momento che il motore non era stato toccato, sarei andato a fare la spesa.

Spingere un carrello su e giù per le corsie mi avrebbe dato la possibilità di rilassarmi.

Chissà, forse mi sarebbe venuto in mente qualcosa. Il supermercato si trovava a pochi isolati di distanza.

Era una splendida serata di inizio maggio, il periodo in cui la grande metropoli e i suoi dintorni tornano a essere abitabili dopo un inverno interminabile e deprimente.

Afferrai un carrello, entrai, andai avanti e indietro acchiappando roba un po’ qui e un po’ là, ma il divertimento era sparito.

Riuscivo a malapena a concentrarmi sulla lista che Laura mi aveva dato prima che lasciassi l’appartamento.

Aveva in programma di preparare scaloppine ai funghi e la sua speciale zuppa di salsiccia e porri, ma non riuscivo a pensare ad altro che ai soldi che avrei dovuto sborsare-soldi che non avevo – quando avessi portato a far riparare la macchina in officina.

Iniziai a caricare la mia roba nel bagagliaio sfondato quando notai che avevo compagnia.

Una Mercedes vecchio modello, lunga e zeppa di ammaccature si era infilata nello spazio accanto al mio.

Dentro c’erano un paio di tizi. Quello seduto al volante mi fece un cenno da dietro il finestrino.

E adesso cosa cazzo c’era?

Forse stavo per essere aggredito o arrestato.

Balzarono fuori dalla macchina.

Il guidatore indossava una felpa senza maniche. I suoi bicipiti luccicavano di sudore o vaselina.

Era calvo, ma aveva un urgente bisogno di radersi.

“Oggi non è giornata”disse ridendo sotto i baffi con accento caraibico e indicando con un cenno della testa il retro distrutto dell’auto.

“Puoi dirlo forte”.

“Possiamo darti una mano noi, amico”.

“Davvero?”

Era sorprendente come questi tizi si fossero materializzati dal nulla.

Sembrava che mi stessero leggendo nel pensiero.

“Siamo in grado di riparare la tua macchina, amico. Sai, è il nostro lavoro.

Tua moglie non saprà mai nulla di quello che è successo.”

Lanciò un occhiolino al suo socio, un tizio smilzo con un pizzetto nero e i capelli legati in una crocchia.

Come diavolo faceva a sapere che la macchina era di mia moglie? Questi due erano veramente fuori dal comune.

Sapevano che ero imbarazzato e mortificato, che ero nei guai e avevo bisogno di aiuto.

Un miracolo.

Prima ancora che potessi chiedere il prezzo dei loro servizi, Pizzetto aveva già aperto il baule del loro catorcio e stava tirando fuori attrezzi e bombolette spray.

“Grazie, amico”, dissi. Era come trovarsi in un sogno.”Quanto….?

“Non tanto quanto se dovessi portarla in una officina”, disse sorridendo Mastro Lindo.

“Soldi ne hai, giusto? Ce l’hai il bancomat, no?”

In quel momento, vederli mettersi a lavorare alla Saab distrutta, osservarli mentre eliminavano la mia angoscia provocata dall’incidente, tutta la mia esperienza di vita di strada mi abbandonò.

All’improvviso ero diventato come un bambino a cui un viene offerta una caramella da un pedofilo.

In vita mia non mi era mai capitata una cosa del genere, nemmeno una volta.

Caso mai, di solito capitava il contrario.

“Si…”

“Bene”, grugnì Mastro Lindo. Mitragliò qualcosa in spagnolo al suo amico. Pizzetto intanto stava già carteggiando la parte danneggiata. Si muoveva come un impasticcato, come se non ci fosse un attimo da perdere e avesse un appuntamento più importante da qualche altra parte. Oppure temeva che avrei cambiato idea.

“E quella voragine lì come la sistemiamo?”, chiesi indicando il punto in cui il pilone di cemento aveva sfondato la lamiera, lasciandola contorta e deforme. Mastro Lindo andò al baule del suo trabiccolo e ritornò con un piede di porco.

Infilò il gancio dentro il buco e fece leva. Si udì un cigolio e un tonfo mentre la lamiera cedeva.

Malgrado restasse ancora un piccolo buco nella carrozzeria, il risultato non sembrava niente affatto male.

Mastro Lindo si girò verso di me e sorrise. “Bello, no?”

Il compare smilzo cominciò a insaponare la zona danneggiata con una schiumosa sostanza bianca.

Poi cominciò ad agitare una bomboletta di vernice.

“La lasciamo agire per qualche secondo, poi applicheremo la vernice”, spiegò Mastro Lindo.

“E poi abbiamo finito. Allora, dov’è la tua banca? Qual è il bancomat più vicino?”

Tutto ad un tratto cominciò a manifestare un grande interesse per tutto ciò che riguardava i miei soldi.

Pizzetto intanto spruzzava vernice su tutta la lamiera.

Il problema era che il verde-mare non combaciava esattamente col colore naturale della Saab.

Quando feci notare questa cosa, Mastro Lindo scosse la testa.

“Non preoccuparti, amico. Una volta che si è asciugata, questa merda si mimetizzerà.”

Cominciavo ad essere dubbioso su tutta quanta la faccenda.

Era come se stessi riacquistando i sensi dopo essere svenuto.

“Sali”, disse Mastro Lindo indicando la sua macchina.”Adesso ci dai i nostri soldi, intesi?”

“Quali possibilità avevo? Ero stato io ad accettare i loro servizi, giusto?

Sapevo che se avessi provato a smollare questi babbuini, ci sarebbero state delle conseguenze; conseguenze del tipo: una botta alla tempia con una chiave di ferro per pneumatici.

Nutrivo il sospetto che Mastro Lindo non ci avrebbe pensato due volte ad usarla.

Nei paraggi non c’erano testimoni che potessero vedere cosa stava succedendo.

Come un sonnambulo mi posai sul sedile posteriore. Mentre uscivamo dal parcheggio, Mastro Lindo si voltò verso di me. “Devi prelevare il massimo possibile. Abbiamo una famiglia da mantenere “.

Da gentile, l’individuo si era fatto pressante. La sue parole rabbiose mi fecero venire la nausea.

Adesso capivo come venivano fottuti i deboli; come le ragazze confuse e ribelli venivano tramutate in prostitute dai papponi, e come l’omicida seriale puntava le sue vittime. È una formula davvero elementare.

Quando si è abbattuti, vulnerabili e feriti si diventa preda. Ci si lascia impressionare da ogni imbroglione di strada da quattro soldi. Ci si mette addosso un cartellone pubblicitario con la scritta:SFIGATO.

E il predatore sa riconoscere il tuo odore come lo squalo riconosce il sangue, rileva le tue tracce a chilometri di distanza.

Mi misi a pensare alle sporte della spesa nel bagagliaio della Saab parcheggiata al supermercato, al cibo deperibile che sarebbe andato a male e al fatto che mi sarebbe toccato spendere altro denaro. Sempre che fossi riuscito a tornare a casa vivo, perché la conversazione in macchina aveva preso una brutta piega. Sembrava come sei quei due imbecilli mi avessero fatto un grosso favore, e se non sganciavo la somma che volevano, mi avrebbero arrostito il culo. Una congenita inerzia si impossesò di me, come sempre succedeva davanti a un’emergenza. Quello che facevo era restarmene seduto e lasciare che il destino facesse il proprio corso. Potevo saltare fuori dal veicolo in corsa, ma così facendo avrei forse finito per morire ancora prima.

“Abbiamo bisogno di 800 euro”, annunciò Mastro Lindo quando accostammo davanti a una banca con l’insegna del bancomat.

“800 euro?”

“Sì, 800.E ricorda che hai fatto un cazzo di grande affare, amico. In officina quell’ammaccatura ti sarebbe costata mille, millecinquecento euro. Ti abbiamo fatto risparmiare un fottio di soldi, amico!”

“Non sono sicuro che ci siano tutti quei soldi sul mio conto”.

Gli occhi di Mastro Lindo lampeggiarono.

“Hey! Sei stato tu a volere che riparassimo quella tua dannata macchina!Il prezzo è di 800 euro, chiaro? Abbiamo una famiglia da mantenere!”

Sì, certo, come no, le loro adorate famiglie del cazzo. Della mia famiglia non importava un accidente a nessuno. Io ero soltanto un bianco in una Saab che non era nemmeno sua. Io, Daniele Fanti , non contavo nulla.

Guidavo una macchina da sborone, quindi era logico che avessi abbastanza soldi da poterli buttare.

E poi, non ero stato io a permettere loro di riparare la macchina?

Era un quartiere pericoloso della periferia nord della città, deserto, salvo per alcuni membri di bande giovanili con il durag in testa sparsi qua e là. Adesso ero convinto che non ce l’avrei fatta e mi avrebbero fatto fuori. Sono cose che a volte capitano nella vita. Una sera esci di casa per andare a fare la spesa e non torni più. Lo potete leggere sui giornali. Adesso era venuto il mio turno. Un bel giorno mi avrebbero trovato a galleggiare a faccia in giù nel fiume, con la nuca sfondata, il mio cadavere dilatato in modo irriconoscibile, e il caso sarebbe rimasto irrisolto. E la colpa era stata tutta mia, perché avevo tenuto la testa infilata nel culo…

Mi seguirono dentro la cabina di vetro. Infilai la carta nel lettore e composi il pin.

Non stavo scherzando: c’erano meno di cinquecento euro sul mio conto, l’intero ammontare dei risparmi di una vita. A Mastro Lindo e al suo collega, che mi stavano col fiato sul collo, la cosa non piacque, ma presero comunque le banconote.

Poi ci fu un’animata conversazione in spagnolo.

“Senti, tu hai la carta di credito, giusto? Non mentire, l’ho vista quando hai aperto il portafogli!”

“Sì, ma…”

“Adesso vieni con noi al centro commerciale e ci compri dei buoni regalo.

Abbiamo una famiglia da mantenere!”.

Tentai di spiegare che avevo raggiunto la disponibilità massima della mia linea di credito, ma a loro non importava un accidente. Volevano quello che volevano.

“Ascolta, coglione! O ci dai quello che vogliamo, o ti faremo sprizzare sangue dal buco del culo.”

Va bene.

Se gli avessi dato quello che volevano, forse mi avrebbero lasciato andare.

Se così non fosse stato, sarei dovuto scappare. In quel momento sarebbe stato veramente bello avere una pistola o un coltello.

Andammo al centro commerciale Metropoli e salimmo con l’ascensore al reparto bambini. Tirai fuori la mia carta di credito e comprai ai miei amiconi qualsiasi cosa richiedessero.

Erano soltanto soldi. Mentre la cassiera batteva lo scontrino, pensavo a tutto il lavoro che mi sarei dovuto sobbarcare per trarmi fuori dalla fossa che in qualche modo avevo scavato con le mie stesse mani. Quando uscimmo dal supermercato era buio pesto:il momento perfetto per morire. Invece mi lasciarono alla mia macchina.

Forse Mastro Lindo e Pizzetto erano stanchi. Forse erano soddisfatti di essersi portati via fino all’ultimo centesimo. Qualunque ne sia stato il motivo era un sollievo ritrovarsi tra i vivi.

Il pensiero di prendere il numero della loro targa non mi passò nemmeno per l’ anticamera del cervello.

Dopo tutto, quale reato avevano commesso? Non mi avevano toccato con un dito. Non mi ero visto puntare una pistola in testa. La loro unica colpa era stata aver scovato il babbeo perfetto…

Spostai la Saab sotto un lampione, smontai e controllai il costoso lavoro di riparazione.

Era un orrore, un aborto. Le due sfumature di verde erano così diverse che la macchina aveva un aspetto peggiore adesso di quando l’avevo schiantata. Mi avevano fregato. Fregato alla grande.

 

 

Erano trascorse ore da quando avevo lasciato l’appartamento. Quando trascinai le sporte dentro casa, Laura uscì di corsa dalla stanza da letto.”Dove sei stato, Dan? Cominciavo davvero a essere in pensiero.”

“Se te lo dicessi, non ci crederesti”. A proposito, tutto questo cibo è pronto per finire nel bidone dell’immondizia. Non so neanche perché diavolo lo abbia portato a casa.”

Il bimbo in camera da letto lanciava strilli. Fuori, la festa di strada notturna cominciava a mettersi in moto.

Fragore di clacson, urla, bottiglie che vanno in frantumi, tutto risaliva fino al decimo piano.

Dall’altra parte del fiume, M. luccicava in maestoso silenzio. Stappai una birra e aggiornai mia moglie sui dettagli.”Così adesso ho perso tutti i miei risparmi e la tua macchina è ancora un merdoso rottame”.

Laura scosse la testa.”Avrebbero potuto ucciderti, Dan!”

“Ne so qualcosa. Ma non finisce qui. Prima o poi prenderò quei bastardi truffatori!”

Mia moglie mi diede un’occhiata.”Non essere ridicolo. Perché non sei tornato qui dopo l’incidente?

Lo sai che abbiamo l’assicurazione. Che ti prende, Dan?”

Mi ribolliva il sangue. Non avevo niente da dire. La verità è che non so perché ho fatto quello che ho fatto.

Non era da me, per niente. A volte non ci sono proprio spiegazioni. Come la vita, totalmente irrazionale.

Infilai la mano in una sporta e cominciai a gettare il cibo andato a male.

Domani mi sarebbe toccato uscire di nuovo e rifare tutto daccapo.

Daniele Fanti, Modena

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