“Signora D’Orazio, la classe è questa, prego”.
Il bidello Gennaro aprì la porta come a dire “…Ora sono cavoli tuoi…”.
Noemi entrò sfoderando un sorriso radioso come il Sole ma dentro di sé pensò che avrebbe voluto sputare per terra!
Ed era solo il primo giorno.
Lei non conosceva, nemmeno, quei giovani studenti romani dell’Istituto Alberghiero “Pellegrino Artusi”; eppure sentiva già di odiarli.
Lei sentiva di odiare tutti.
Erano tre anni, ormai, che girava le scuole di Roma per fare punteggio e poter, così, ottenere una cattedra più vicina casa a sua.
Ed anche quel quarto anno, lei, si sarebbe dovuta svegliare alle tre del mattino, per prendere il treno delle quattro e poter arrivare alle sette a Roma.
Tre anni erano, già, passati a viaggiare di notte per poter lavorare al mattino e fare, poi, ritorno a casa solo a tarda sera; giusto poche ore prima di dover ripartire di nuovo.
Soprattutto in inverno, poi, lei usciva di casa col buio e ritornava a casa col buio.
Una dimensione di notte eterna che si era ingoiata la sua stessa anima…
Mezz’ora di macchina, durante quelle che sono le ore del sonno più profondo, attraverso strade di campagna scarsamente illuminate, per giungere alle quattro meno dieci, alla stazione di Cangiano.
Quel piccolo snodo ferroviario, perso in mezzo al nulla, a quell’ora della notte, lei lo aveva soprannominato “la casa degli spettri”.
Anime dannate che aspettavano l’arrivo del treno per cercare di riprendere un sonno lacerato dall’incombenza del doversi svegliare.
Noemi chiamava lei e tutte quelle ombre smunte, “i deportati della scuola”.
Si domandava per quale ragione i romani, docenti e studenti, si potessero svegliare alle otto, per poi essere a scuola alle nove; mentre loro, deportati della scuola, alle nove del mattino, avevano già fatto una prima giornata di viaggio.
Ed ancora, perché i romani, alle due del pomeriggio, dopo una normale giornata di lavoro e di studio, potessero rincasare agevolmente a riposare; mentre loro, deportati della scuola, appena finito il lavoro scolastico, iniziavano una terza giornata di viaggio per poter tornare a casa?
Praticamente, loro, facevano tre giornate di lavoro in una: ogni giorno!
Nello specifico, quattro ore e mezza di treno al giorno!
Ma, poi, quel maledetto orologio alla stazione di Roma…
Lei lo fissava tutte ogni giorno, era posto sulla sommità di una colonna, poco sotto il soffitto.
Ogni mattina, al suo arrivo nella capitale, segnava sempre la stessa ora!
Le cifre del display cambiavano la data ogni giorno, ma c’era sempre la stessa ora!
Sempre la stessa maledetta ora…!
Una visione che la faceva, letteralmente, uscire di senno, ma che non riusciva a smettere di guardare, ogni mattina.
Talvolta doveva farsi forza, per staccarsi da quella osservazione e proseguire il suo cammino; si sentiva come imprigionata in una dimensione senza tempo.
Però lei doveva stare attenta perché nessuno doveva accorgersi dei suoi pensieri strani, altrimenti non avrebbe trovato nemmeno più uno straccio di incarico.
La docente pensava, a volte, che, forse, nemmeno i deportati dei campi di concentramento nazisti avevano subito una tale privazione del sonno e della propria libertà per così tanto tempo.
Lei faceva studiare le bambine mentre era sul treno, collegata in videochiamata con il tablet del marito.
Lei parlava con il logopedista, dove suo marito aveva portato la loro secondogenita alla visita settimanale, sempre mentre era in treno, collegata in videochiamata sempre sul suo tablet.
Tutto questo inferno solo per poter portare uno stipendio a casa.
Perché solo con lo stipendio di quello che, nel frattempo, era divenuto il suo ex marito, maresciallo dell’Aeronautica militare, non si riusciva a far quadrare i conti.
Poi perché, infondo, quello era il mestiere che lei aveva voluto fare sin da quando era ragazza; lei aveva studiato per essere un insegnante.
Non aveva mai immaginato, però, in quale budello oscuro sarebbe stata intrappolata la sua vita e la sua stessa anima.
Noemi si era data una spiegazione per tutto questo.
I suoi genitori erano stati insegnanti ma non avevano fatto una vita tanto assurda.
Allora si insegnava nella propria provincia.
Perché, adesso, invece, si doveva scegliere tra svegliarsi alle tre del mattino o emigrare al nord?
Lei sapeva che il problema stava tutto nel ritorno a casa serale dei politici…
Negli anni settanta ed ottanta, infatti, quando i politici tornavano a casa, non sapevano mai chi avrebbero potuto trovare lì ad aspettarli.
Che fossero le brigate rosse comuniste, i Nar fascisti o l’anonima sequestri, infatti, i politici sapevano che dovevano accontentare la gente, altrimenti la gente avrebbe coricato loro a terra…per sempre!
Oggi, invece, i politici potevano fare quello che volevano, danneggiare famiglie, imprese e lavoratori, che tanto tornavano a casa tranquillamente; senza che nessuno stesse lì ad aspettarli.
Era per questo motivo che lei, e tutti gli altri come lei, vivevano da deportati della scuola.
Queste cose, Noemi, le aveva dette anche al suo psichiatra.
Ma lui non aveva capito nulla, aveva detto che la mancanza di sonno le stava creando dei seri problemi e che non doveva covare tanta rabbia; altrimenti, prima o poi, questa sarebbe esplosa.
E tale esplosione di rabbia avrebbe prodotto degli atti di violenza verso gli altri o dell’autolesionismo.
Così si chiamava, infatti, autolesionismo, ed è quello che venne refertato in ospedale quando lei tentò di gettarsi dal balcone di casa.
Poi, da allora, le cure, la separazione e l’affidamento congiunto con collocazione prevalente, delle sue due figlie, all’ormai ex marito.
La vita di Noemi era perduta come il suo sonno ed era successo tutto per colpa di quella maledetta scuola.
Scuola, però, alla quale non interessava nulla della sua vita; difatti, era bastata una semplice messa a disposizione per ottenere l’incarico, anche quell’anno.
L’ingranaggio della scuola macinava tutto. Senza accorgersi di nulla. Nemmeno di quello che Noemi aveva tentato di fare. Nemmeno dell’odio che lei covava nel profondo della sua anima.
Ed allora eccola lì, dinanzi ai suoi occhi, un’altra classe di tossici, teppisti e sgualdrine; di tutte le razze e di tutti i colori del mondo.
Il peggio del peggio della evoluzione umana.
Il posto che restava ai deportati della scuola come lei; dopo che i docenti più anziani, e con più punteggio, lo avevano, prontamente, scartato ed evitato.
Ma sin dall’anno prima, Noemi, aveva architettato un metodo per poter avere una destinazione migliore ed un lungo periodo di malattia e congedo retribuiti.
Il metodo era semplice, bastava eccitare quelle scimmie troglodite che sapevano bofonchiare solo suoni gutturali del tipo: “Ao! Annamo! Se Vedemo!”.
Poi loro avrebbero fatto il resto.
O mediante messaggi sul telefonino o, ancora meglio, con volgari apprezzamenti davanti a tutta la classe.
Dopo di che tutto sarebbe stato semplice.
Lei sarebbe andata in presidenza, avrebbe detto di venire infastidita o molestata da questo o da quello e che, non volendo sporgere denuncia per non rovinare dei ragazzi in piena tempesta ormonale, voleva chiedere un periodo di malattia per far calmare le acque e fare dimenticare la cosa.
Il preside di turno, ovviamente, per non avere problemi e fare scoppiare scandali nella sua scuola, abbozzava convintamente alla richiesta della sua docente.
Assecondandola nella sua volontà.
Con questo stratagemma, l’anno prima, Noemi aveva fatto due mesi di malattia, da febbraio ad aprile, senza nemmeno essere sottoposta a visita medico fiscale.
E, una volta tornata a scuola, era stata dirottata sull’insegnamento di sostegno ad una ragazza che veniva a scuola, al massimo, un giorno a settimana.
Così, anche quella prima mattina di quel nuovo anno, lei si era messa in tiro come una adolescente che va in discoteca.
Aveva delle zeppe che la innalzavano ancora di più del suo metro e settantacinque; una canottiera color corda che lasciava aperto un décolleté mozzafiato ed aveva un pantaloncino bianco che non copriva nemmeno le sue natiche per intero.
Uno spettacolo che camminava insomma.
Immediatamente accolta dai commenti “bavosi” dei maschi in aula e dai sorrisi di intesa delle ragazze che si trasmettevano “ telepaticamente” il messaggio: ”.. Ma questa è impazzita?!?…”.
Però questa volta, Noemi, voleva qualcosa di più.
Il solo pensiero di dover vivere un altro anno infernale, come quelli passati, le aveva, oramai, lacerato l’anima fin nel midollo.
Il solo pensiero di doversi aggirare, nottetempo, in quei reami di dimenticanza, che erano le strade per raggiungere la stazione di campagna, le metteva i brividi addosso.
L’essere sulla via di casa verso le sei della sera, dopo 15 ore tra lavoro e viaggio, ed a sole 9 ore dalla successiva partenza; le avevano scavato il cervello come un pozzo di petrolio.
A volte aveva pensato di cambiare lavoro, di fare qualcosa che fosse più vicino a casa, ma cosa?
Lei aveva studiato tutta la vita per essere un insegnate ed ora cosa mai si poteva mettere a fare?
I colleghi le dicevano di resistere un altro paio di anni, poi avrebbe avuto il punteggio per potersi avvicinare.
Ma il punteggio della sua vita era, ormai, andato a farsi fottere…
Il suo matrimonio era finito.
Le sue bambine le poteva vedere solo il sabato, per due ore, ed in presenza dell’assistente sociale, così come aveva disposto il Tribunale.
Oramai non le interessava più nulla, nemmeno di avere un avvicinamento.
Lei voleva solo dormire…
Perché in quelle poche ore di sonno prima della sveglia alle tre del mattino, lei non riusciva più nemmeno a dormire.
Nessuno lo aveva capito, ma quando aveva provato a volare giù dal quarto piano, lei voleva solo poter dormire.
Dormire veramente.
Noemi, intanto, si sedette al suo posto ed accavallò le gambe, riuscendo a sentire, su di sé, gli occhi sgranati di quelle scimmie antropomorfe dei suoi studenti.
Le ragazze le rivolsero delle domande per farla parlare ed indagare che tipo di persona fosse una che vestisse in quel modo a scuola.
Noemi rispose a quelle puttanelle tatuate, sfoderando un sorriso radioso come un mattino di primavera.
E quando loro le chiesero se fosse sposata, lei disse di si, di avere due bambine ma che suo marito non la voleva, mai, portare a ballare.
Tanto nessuno poteva sapere la verità.
Il suo mondo era, così, lontano da quella classe.
Immediatamente i ragazzi si proposero di portarla a ballare e le ragazze le dissero: “Professoressa, non si preoccupi, sabato la portiamo noi in discoteca…”.
Noemi rispose sorridendo: “Ragazzi, guardate che vi prendo in parola..!”.
I maschi della classe, quasi, non ci credevano che una “Milfona”, sventola, come quella volesse andare a ballare con loro.
Le ragazze si interscambiarono dei sorrisi di ammiccamento, come a voler dire: “…Questa ha proprio voglia di divertirsi!…”.
Noemi sorrideva e mostrava copiosa le sue grazie.
Ma nel suo animo c’era il buio assoluto.
Lei sentiva solo di volersi addormentare in quel buio.
Lei voleva solo poter dormire. Finalmente dormire.
Ed allora, stavolta, avrebbe fatto il lavoro per bene, si sarebbe presa un anno intero di riposo, pagato e spesato.
Bisognava solo organizzare bene la cosa.
Però stesso quel giorno, perché il solo pensiero di doversi svegliare alle tre del mattino successivo, le faceva mancare la terra sotto i piedi.
Ci volle poco ad individuare l’obiettivo.
Noemi lo capì subito che lui era il capo branco.
I ragazzi ridevano fragorosamente ad ogni suo commento, anche il più cretino, come fossero delle scimmie ammaestrate.
Le ragazze si fissavano e sbuffavano ad ogni sua battuta, come a dire: “…Ti pareva che non era sempre lui…”.
Lui si sentiva gli occhi dei suoi accoliti addosso e, per acclarare il suo dominio, li faceva ridere bofonchiando e scimmiottando, frasi e comportamenti, ad ogni movimento delle gambe della “Prof”.
Lei lo guardava sott’occhio, e si convinse che lui era quello giusto.
Doveva essere egiziano o roba simile, era scuro, magro e coi capelli corti.
Non era molto grosso, ma si pompava tenendosi sempre ritto e fiero nel suo posto per mostrare una imponenza che non possedeva.
Non emetteva una sola sillaba in italiano, parlava solo dialetto romano e qualche frase araba con altri due suoi conterranei che erano in classe.
Noemi si convinse, sul serio, che fosse lui quello giusto.
Ed allora, nelle due ore di lezione che seguirono, non appena si accorgeva che nessuno la potesse scorgere, gli dedicava degli sguardi che avrebbero fatto incendiare anche un iceberg!
L’egiziano non se lo aspettava, d’altronde come tutti i bulli, anche lui, viveva un profondo complesso di inferiorità nei confronti degli altri.
Un po’ per la sua condizione familiare, un po’ per le privazioni dovute alla sua situazione economica, lui si era sempre sentito estraneo.
Estraneo nel suo quartiere, estraneo a scuola, estraneo sul campetto di calcio o alle feste.
Fino a che non aveva capito che anche lui poteva avere un ruolo, qualcosa per cui essere rispettato e temuto; una sua collocazione nel giudizio e nella considerazione degli altri.
E quel ruolo era il bullo.
All’inizio ci volle solo un po’ di coraggio: qualche litigata e qualche atto vandalico.
Però tanto valse a fargli ottenere l’incoronazione a ras del quartiere e della classe.
Ed ora il suo “curriculum” in Tribunale vantava, già, qualche piccola ma “promettente” citazione.
Queste cose, quantunque in modo intuitivo e percettivo, Noemi le aveva carpite e perciò lo scelse.
Lo smilzo egiziano, alla fine delle due ore di lezione, era talmente su di giri che sarebbe potuto decollare.
Noemi lo aveva cucinato a puntino con sguardi furtivi e movimenti sinuosi.
Solo quel tanto che bastava, però.
Perché nessuno avrebbe, poi, dovuto testimoniare, in seguito, che era stata la “Prof” a far “ingrifare” il suo studente.
Questo non doveva assolutamente accadere perché, nei propositi di Noemi, la vittima doveva essere, solo e soltanto, lei.
Un sacrificio necessario e dovuto, che però le sarebbe valso il non dover più vagare, nelle notti dei giorni feriali, in strade buie e deserte.
Una delle sue tante prove da dover superare, ma che le avrebbe portato in dono ciò che lei agognava più di ogni altra cosa…poter dormire.
Quando la docente di economia uscì dall’aula salutando tutti, rivolse un ultimo fugace sguardo d’intesa all’egiziano.
Lui, quasi, si sollevò dalla sedia!
Il docente che entrò per la terza ora, trovò una classe in mezzo subbuglio.
I ragazzi commentavano, frenetici, ogni curva ed ogni lembo di pelle scolpita ed abbronzata della loro insegnante.
Le ragazze spettegolavano sul fatto che suo marito, con una moglie tanto bella e focosa, dovesse avere più “corna” di un cesto di lumache…
Ma lui non c’era.
L’egiziano si era mosso prima ed aveva ordinato agli altri di dire che era andato in bagno.
Lui, invece, la stava seguendo. A distanza.
Lei se ne accorse e, girandosi, gli fece un sorriso malevolo.
L’egiziano non si accorse della luce folle che balenava negli occhi della docente.
Non se ne accorse nessuno, erano tutti intenti ad aggredire le macchinette distributrici di cibi e bevande.
Noemi salì al piano superiore, si diresse al bagno dei docenti e vi entrò, non prima di aver rivolto un ultimo sguardo di invito al suo inseguitore.
Lei fece ingresso nel bagno delle signore e si portò allo specchio, non c’era nessuno.
Quando lui entrò ansimante, lei gli sorrise attraverso il vetro.
L’egiziano non comprese quale follia si celasse dietro quel sorriso.
La docente si mosse lenta e sinuosa verso la porticina di un water.
Lui fece per parlare ma lei si portò la mano alla bocca e gli fece segno di fare silenzio.
Lei entrò nella porticina e la lasciò semi aperta.
Lui la seguì e, entrando, trovò la donna più bella che avesse visto nella sua vita, appoggiata con la schiena contro le piastrelle della parete.
Lui la prese come se volesse sbranarla.
Lei accettò. Ma il suo pensiero era uno solo.
Presto quello schifo sarebbe finito.
Presto lui avrebbe finito.
E lei sarebbe andata in presidenza…
Lo avrebbe denunciato per violenza sessuale!
In tanti lo avevano visto seguire la sua professoressa.
Poi lei sarebbe andata in ospedale a farsi curare ed a far refertare l’avvenuto rapporto sessuale, a riprova di quanto lei asseriva.
I carabinieri lo avrebbero arrestato all’uscita da scuola.
D’altronde Noemi era certa che quel ragazzo avesse dei precedenti penali.
Si sarebbe fatto, certamente qualche anno di carcere…
Ma per uno come lui, un po’ di carcere in più o in meno, contava poco.
Però lei sarebbe stata libera!
Quell’anno lo avrebbe passato, a casa sua, in congedo per malattia; retribuita regolarmente ogni mese.
L’anno successivo, poi, manco a dirlo, avrebbe avuto l’assegnazione in ruolo praticamente sotto casa sua.
Finalmente avrebbe potuto dormire come una persona normale.
Finalmente avrebbe riavuto le sue bambine a casa…
Avrebbe riavuto suo marito.
Lei non sarebbe stata più sola…
Noemi pensava questo mentre l’egiziano compiva il suo rapporto sessuale.
Le fece schifo, come può fare schifo fare sesso con un asino.
Sadicamente, però, ella pensava, di quel ragazzo che la stava prendendo nel bagno dei docenti: “…Goditela…perché poi ti ci vorranno alcuni anni, prima di rivederne un’altra……!”.
Questo pensiero masochista e sadico fece eccitare la donna, la quale partecipò con foga all’amplesso, emettendo gemiti e sospiri che fecero imbufalire ancor di più il giovane egiziano.
Quando il rapporto terminò non ci furono parole.
L’egiziano parve pienamente soddisfatto dalla sua prestazione: “Secondo me tuo marito, non te ne fa vede’ mai bene! Se vede da come c’hai dato, t’è piaciuto davero – disse il ragazzo – però nun te sta’ a preoccupà che mo a te ce penso io, per tutto l’anno…”.
“…Che romantico…” rispose sarcasticamente Noemi mentre si rimetteva lo slip.
L’egiziano si girò verso il water come se volesse urinare e, dopo, qualche secondo si udì la voce registrata della donna che ansimava per il rapporto di poco prima.
“Cosa diavolo è questo?” sbottò la Prof.
L’egiziano si girò verso di lei e sorrise: “Che te credi che me faccio denuncià?! Questo mo’ conservo, così se te viene qualche strana idea in testa, faccio sentì il festival di Sanremo che hai fatto nel gabinetto dei professori!”.
L’egiziano continuò a parlare sempre girato di spalle e non riuscì a vedere cosa era diventato il volto di Noemi, letteralmente sfigurato da una follia incontenibile.
“Poi – continuò il giovane – se te dovesse venì de cambià idea, o se nun me vuo’ fa’ qualche regalino de tanto in tanto, te che pigli lo stipendio; questo o famo sentì pure a tuo marito…”.
L’anima di Noemi si lacerò. Pensò che non avrebbe mai più rivisto le sue bimbe.
Si sentì condannata senza appello, come sprofondare in un pozzo senza uscita.
Ora sarebbe stata vittima sessuale ed economica di quel teppistello pregiudicato per tutto l’anno e, forse anche, dei suoi amici.
Avrebbe perso tutto e, nonostante, questi inquietanti pensieri, quello che le fece più rabbia fu che…anche il giorno dopo non avrebbe dormito!
Noemi colpì con la zeppa che aveva in mano l’egiziano mentre questi era ancora di spalle.
Il colpo fu scagliato con una violenza inaudita e raggiunse il giovane proprio dietro al cranio.
L’egiziano perse i sensi e crollò sul water.
Noemi allungò il piede destro e lo mise sul capo del ragazzo, spingendolo dentro il gabinetto.
Lo spinse con la faccia nell’acqua, ringhiando con tutta la rabbia che aveva e tenendolo così per qualche minuto.
Tirò lo sciacquone, in continuazione, come se lo volesse far inghiottire dalle fogne.
Noemi sollevò, quindi, la gamba e lasciò l’egiziano con il viso, praticamente, incastrato nel water.
La docente rimase a guardare ciò che aveva fatto, per qualche secondo, come se stesse vedendo la scena di un film in tv.
Quindi indossò il suo pantaloncino e corse fuori dal bagno.
Tornò immediatamente dopo a prendere il telefonino del ragazzo che era caduto in terra e lo raccolse.
Mentre si abbassò, Noemi notò la totale immobilità del corpo del giovane e si alzò lentamente, non staccandogli occhi di dosso.
La docente riprese, allora, la via d’uscita e non si fermò nemmeno quando venne chiamata dal bidello Gennaro, che le indicava la classe dove avrebbe dovuto fare la terza ora; già abbondantemente cominciata.
Noemi corse via; via da tutto.
Ormai non si sarebbe fermata per nulla al mondo.
Scese in metropolitana e prese la corsa che portava alla stazione.
Mentre era seduta non rispose alle telefonate che giunsero dalla scuola.
Lei guardò il telefonino dell’egiziano e si rese conto che era stato tutto inutile.
L’avevano vista in tanti salire le scale seguita da quel ragazzo.
Così come altri l’avevano vista camminare verso il bagno dei docenti, sempre seguita da lui.
Ormai era spacciata, per lei era finita.
Si rassegnò a quel pensiero e la sola cosa che riuscì a sentire, distintamente, in quel momento, era di avere sonno…tanto sonno.
Lei voleva solo tornare a casa e mettersi a dormire.
Quando arrivò in stazione, vide l’orologio sulla colonna e, per la prima volta, fu diverso!
Non era quel mostro notturno che condannava ed incatenava la sua vita, giorno dopo giorno, in una dimensione di buio senza fine.
L’orologio era illuminato dalla luce del mezzogiorno che stava arrivando, era luminoso e colorato; Noemi rimase a fissarlo, per alcuni minuti, sorridendo.
I volti delle persone, poi, non erano freddi e smunti dalla privazione del sonno e dalle ore di viaggio nella notte.
La gente sorrideva, era allegra e piena di vita.
Noemi si mosse leggiadra verso il suo binario e si mise in attesa del treno che sarebbe arrivato.
Camminò lungo il marciapiede, fino a quando non raggiunse una panchina dove si sedette spossata.
Il sonno diventava sempre più pesante.
Lei non ce la faceva più, sentiva che non era giusto continuare a resistere.
Il sonno le stava cancellando anche i ricordi.
Ormai non contava più nulla.
Quel Sole e quella luce erano bellissimi.
Finalmente lei avrebbe dormito e le importava solo questo.
Il treno fischiò il suo impetuoso arrivo in stazione.
In quel momento, Noemi si girò e vide provenire, dalla stazione ed a passo spedito, due carabinieri e due agenti della polizia ferroviaria.
La Prof riuscì a malapena ad alzarsi dalla panchina, mente sentiva come di vivere in un sogno.
Ce l’aveva fatta. Forse stava dormendo, finalmente lei stava dormendo!
Noemi chiuse gli occhi assonnati e, con un sorriso dolce, si lasciò cadere sui binari mentre sopraggiungeva il suo treno.

l’autore

Giuseppe Borrelli nasce a Caserta il 14/12/1973.
Vive e risiede a Calvi Risorta, piccolo centro della provincia di Caserta, ai piedi del Monte Maggiore. Ha intrapreso gli studi classici ed umanistici, diplomandosi al Liceo Classico “A.Nifo”. Laureato in Giurisprudenza alla Seconda Università degli Studi di Napoli, Avvocato ed ex giornalista pubblicista.
Ha iniziato a svolgere la attività di pubblicista come inserzionista per riviste quali “ Presenza Missionaria” e testate di cronaca locale come “Sting”. Ha collaborato con il quotidiano “ Il Mattino” e con alcune emittenti televisive campane.
Studioso ed appassionato di Fisica e Scienze Astronomiche. Autore, principalmente, del genere Fantasy e Fantascienza, ha sviluppato anche narrazioni a carattere Storico, Thriller e racconti Horror. Tra le sue pubblicazioni: “Il Volto della Bestia”, “Gamurra”, “L’Androzoide”, “I Guardiani di Rameno”, “Il Luparo” La Favola del Sempregiorno” e “The Globster. Il Demone del Corallo”.

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