Sono stanco di nascondermi. Ma io sono un vigliacco, un codardo: è l’unico modo che ho per sopravvivere. Se non facessi così, allora il mio labirinto cadrebbe; in tal caso cosa potrebbe rimanermi? Io ho solo i sogni per assaporare la vita. L’amore che provo mai verrà estinto, così come la speranza; per quanto l’oscurità si annidi nelle mie vesta ci sarà sempre la luce. Seppur in minima parte è questa a darmi la forza per andare avanti.

Ogni qualvolta che giunge la sera: qualcosa in me muore e qualcos’altro prende vita. Non sono mai la stessa persona. Per quanto trascorrano tutte uguali, ognuna la vivo in modo diverso. Conosco me stesso, la mia anima. Affronto le intemperie. Vengo percosso dalla malinconia, dall’angoscia, dal vuoto; alla fine rimango in piedi. Il mio cammino deve proseguire in ogni caso e null’altro può farmi cadere in terra. Sono solo un’umile viandante. Al tempo stesso sono un curioso osservatore: rimango in disparte, parlando a tutti voi.

Torno per un attimo in me; il mio sguardo si posa sulla finestra spalancata. Lentamente mi avvicino e guardo fuori. Il temporale non cesserà mai, sino a quando non gli daremo motivo per farlo. Questo, perché la natura non ne può più: essa è in collera, malinconica, malata. Lampi danzano nel grigiore delle nuvole; ruggito di tuoni si alternano ad urla disperate. Il vento soffia con una potenza inaudita. Colla sua forza pare portarsi con sé ogni cosa ch’incontra. Eppure, quando incontra il mio viso, si ferma. Rimane fisso a mirar le mie pupille colme di lacrime e con la sua mano mi accarezza. La sento…sì la sento! È fredda, gelida. Quando incontra la mia anima però torna in sé, ed un lieve tepore la circonda. In quel momento il cuore mio ricomincia a battere.

Il temporale, dunque, è un grido d’amore disperato. Nessuno però se ne accorge o quantomeno se ne rende conto: da quando non guardate attorno a voi o dentro di voi? Non vorrò ripetermi: farlo sarebbe inutile in questo caso. Anche controproducente fra le altre cose. Che senso ha alimentare il grigiore della realtà quando questa non è tale? Chiaramente nessuno, ovvio.

Orbene, torniamo a noi; o a me; maledizione non lo so più! La coscienza del proprio “Io” è iniqua se fine a sé. Bisogna rendersi conto di far parte di qualcosa che è molto più grande di noi: dell’universo. Ogni cosa è nata da questo, e con esso è nato anche il tempo. Ogni cosa però ha un inizio ed ha una fine: alpha ed omega. Cosa succede quando moriamo? Per ora è solo teoria, o parole d’un folle; questo lo decidete voi. Dopo che i nostri corpi, finiscono sotto due metri di terreno, cosa ne sarà delle nostre anime? Alcuni sostengono (spinti da una hybris veramente notevole) che finiamo dritti dritti in una dimensione nuova. Sono soliti chiamarla paradiso, od inferno. Non userò la stessa terminologia perché non tratto la fantascienza, tratto l’Uno. Questo è ben differente. Il Dio che venerate altro non è che il tempo stesso: questo deriva a sua volta dall’universo che deriva a sua volta da qualcos’altro. Azione-reazione. Ha avuto tutto inizio con il Big Bang, avrà fine con il Big Crunch. Ad ogni azione ne corrisponde una uguale e contraria. Questo vale per ogni specie vivente, per il mondo e per tutto ciò di cui abbiamo conoscenza.

Scusate, in quanti sproloqui sono solito perdermi! No…no! Non devo scusarmi. Io non parlo mai con nessuno: sono solo. È sono felice di esserlo. Nella vostra di realtà, come sono solito sottolineare, incontrerei solo la morte. Per questo mi nascondo: nella mia di prigionia ho il controllo. Mi rendo conto che anch’esso è un’illusione; solo così però si può sopravvivere. L’ho già detto prima? Maledizione, il corso dei pensieri è ciclico per me. Tutto ciò che vorrei è parlare un po’ con voi. Far sì che possiate ascoltare. O detto in sintesi: parlare ed essere ascoltato. Vorrei conoscervi, sapere dei vostri sogni e dei vostri amori. Viverli con voi, respirarli con voi. Succederà un giorno, il giorno in cui si tornerà ad essere umani. Oggi però, non è il giorno. Non lo sarà neanche domani. E neanche…dopodomani. Dannazione, che giorno è oggi? Quanto tempo è passato? Io esisto? Sicuramente sì…ma voi? Esistete? Scusate le tante domande: le uniche voci con le quali sono solito interlocuire sono quelle dei miei demoni. E quanto soave è il canto loro? Ti attrae verso la ferocia delle tenebre con una delicatezza notevole.

Sento una voce diversa chiamare il mio nome: la luna s’è volta dinanzi a me. Uscita dalla sua insicurezza, mi abbraccia. Il suo corpo è così caldo che dona calore anche al mio. Che sia veramente un corpo, il mio, non so rispondervi. Le stelle sono tutte visibili; nella bellezza della notte brillano più forte che mai. Mi rendo conto d’una cosa: questo è solo nella mia mente, fuori cielo e terra stanno cadendo. Ma un attimo di beatitudine s’impossessa di me, mentre sto scrivendo questi versi. Ed è in momenti come questi in cui m’accorgo d’esistere, e che anche voi esistiate. Dove siete non so dirlo, ma ci siete. Vi nascondete come me: avete paura. Paura di come potrebbe essere, paura dell’orrore in cui siamo spettatori ogni giorno. Spettatori per inerzia, sia chiaro. Nessuno se ne rende conto di essere prigioniero e dunque, non ci si rende conto del carceriere. Ah…la normalità: quel spectacle fou et bizzarre!

Ridotto come un cieco a brancicare attorno, l’uomo muore prima di conoscere la morte stessa. Cos’è questo rumore? Ah, sono le veneziane che sbattono. Il mio sguardo si posa su tante cose in un battito di ciglia: un caffè freddo sulla mia scrivania, qualche libro, una sigaretta spenta in un posacenere, una lampada fioca ad illuminare l’anima mia. Ho dato la mia vita a voi, nonostante vi odi con tutte le mie forze. Perché non è colpa vostra. Tornerà la Primavera ed il cielo sarà più sereno che mai. A quel punto, quando le rose fioriranno e le labbra degli amanti si perderanno nell’amore, potrò smettere di nascondermi. Il viaggio è ancora lungo, è chiaro: seppur ferito e moribondo, arriverò alla mia meta. Qualunque essa sia.

Nicola Barbarisi, Avellino