
Nel primo campeggiano un leone e un serpente che si contendono una preda irriconoscibile. Su un altro è rappresentato un serpente che si avvolge in tre spire, strette al centro ove terminano con la bocca spalancata e la testa nera sovrastata da un corno. Ancora, un vigoroso felino, forse pantera, forse gatto, domina il terzo mosaico. Impressionante è il quarto e ultimo mosaico: un serpente, composto di minute tessere triangolari, si avvolge nelle sue spire a formare una sorta di “otto” con la coda. Che l’immagine del serpente rimandi alla tentazione demoniaca? Forse l’intento dell’artista era ammonire l’uomo sui pericoli sempre incombenti che lo istigano contro i comandamenti divini. Ma il mondo oscuro e complesso dei simboli affiora anche dal numero “otto”: un numero magico, dai diversi e reconditi significati. Otto sono i cieli visibili, le pene dei dannati, le ricompense dei giusti, i paramenti del sacerdote; ottava infine è la Casa della Cabala, dove l’uomo si prepara alla morte. Ottagonale era nella chiesa una conca, forse un fonte battesimale. Un tempio in cui si respira l’aria dell’enigma, dell’inconoscibile, degne categorie del Medioevo, età di pellegrini e vagabondi, di fede ed eresie. Epoca, il Medioevo, tra le cui letture preferite vi erano bestiari, lapidari ed erbari, dove animali, pietre e piante si caricavano di significati “altri” da sé. Sant’Adriano rispecchia tali atteggiamenti, arricchiti dalla meditazione bizantina oltre che dall’apporto romanico – latino e, dal XV secolo in poi, dagli usi e costumi albanesi. Echi arbëreshë, dunque, attraversano le vetuste navate del monastero, uniti agli sguardi di studiosi, turisti e curiosi che da più parti si recano a San Demetrio Corone, baluardo di un tempo antico ma immortale, eternato dalle pennellate di Franco Azzinari, l’artista dei luoghi del mito, l’artista che del quotidiano e del visibile ha fatto i suoi “simboli” cogliendone l’invisibilità. Perché la natura è tutto, anche ciò che non riusciamo a vedere.