Uno scatto per fermare il tempo che fugge… questo è l’obiettivo di Branzi che ha colto questo istante nel 1954, in un vicolo di Comacchio.

Una fotografia, come una metafora.

Branzi narra cosa c’è dietro quello scatto iconico: «Mi sorpassa un ragazzotto con sulle spalle un enorme orologio. Grande e rotondo, come quelli che si usava portare nella tasca della giacca appeso a una robusta catenella, un barbazzale d’oro per i benestanti. Funziona, sento il tic-tac, ma le lancette sono irrequiete, saltellano irregolarmente ad ogni sobbalzo. Convinco il ragazzo a fermarsi e farsi fotografare. C’è un’ampia pozzanghera sulla stradina, al centro di una quinta di muri corrosi. Il quadrante si riflette nello specchio d’acqua, si sdoppia, mi offre la chiave di lettura che cercavo di questo intrigante lembo di terra, dove il tempo sembra essersi fermato, sospeso in un silenzio d’acquario, una muta inquietudine metafisica.

Altri ragazzi non si tirano indietro, vogliono farsi fotografare. Cerco altre soluzioni formali, ma avverto che i primi scatti hanno già dato la risposta che cercavo.

È il tardo pomeriggio e la luce sta calando velocemente. Sopraggiunge un adulto che preleva il bizzarro orologio fuori misura, che segna il tempo con emblematica indefinitezza, lo porta alla sua naturale destinazione: insegna pubblicitaria di un orologiaio».

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LeggoScrivo
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