9:00

La sveglia quella mattina non era suonata. Jonas la pospose un paio di volte prima di rendersi conto dell’ora e sapendo di doversi sbrigare lanciò via le coperte stizzito, rimanendo seduto cinque minuti a fissare il vuoto prima di alzarsi. Entrò nel bagno e con fare molto stanco, si tolse l’intimo che aveva in dosso entrando nella cabina. L’acqua non si regolava bene, la caldaia da qualche tempo presentava problemi ma sembrava non curarsene. Una volta finito, si lavò i denti e la faccia. Aveva delle occhiaie evidenti, d’altronde erano notti intere che non chiudeva occhio. Poi, si vestì con la solita camicia azzurra, un paio di pantaloni neri e delle scarpe omologhe. Si preparò il solito pranzo a sacco e successivamente uscì di casa.

9:30

Camminò lesto in mezzo alla marmaglia di persone che si precipitavano, proprio come lui, ad un’altra giornata di schiavitù. Prese la metro e si sedette in disparte. Tutti avevano gli occhi incollati al proprio schermo. Colletti bianchi, studenti e tanti altri. Nessuno guardava l’altro, nemmeno per un’istante. Tirò fuori dalla sua tasca gli antidepressivi, ne prese un paio e dopodiché mise le cuffiette alle orecchie. Era il suo unico modo per sfuggire dalla realtà, per sfuggire al sussurro dei demoni. Hey You dei Pink Floyd era l’unica cosa che riempiva di colore quello sfondo grigio e triste.

10:15

Una volta arrivato in ufficio gettò con la coda degli occhi uno sguardo ai suoi colleghi. Non amava stare in mezzo alle persone specialmente in ufficio, luogo dove si sentiva ancora più a disagio. Tutti, con grande alacrità e lo sguardo basso svolgevano i loro compiti. Il suo capo, Ben, era un uomo buono in fondo. Pensava solo al bene dell’azienda e dei suoi dipendenti anche se quando si presentava l’occasione di usare il pugno di ferro, non perdeva l’occasione di esercitare la sua autorità. Questa, però, terminava fra quelle mura. Come ogni piccola azienda, dipendeva da un’altra ancora più grande e così via. Era schiavo, proprio come noi. Jonas prese un caffè dalla macchinetta. Sembrava tutto fuorché quello però era l’unica cosa che gli permetteva di affrontare la mattinata. Si mise poi alla sua postazione quando la sua migliore amica, lavorante anche lei lì, si presentò alla sua scrivania. Si chiamava Layla e si conoscevano fin da piccoli. Lui aveva perso da poco sua madre in un incidente. Era in auto con il padre quella sera, era il loro anniversario. Ad un incrocio, un camion guidato dal conducente palesemente ubriaco, li travolse in pieno. Lui uscì indenne non si sa come, lei purtroppo morì qualche ora dopo in ospedale. Decise allora di trasferirsi, di cambiare aria. Il giorno in cui approdarono nel nuovo quartiere, Layla stava giocando sull’altalena. Avevano entrambi otto anni e lui subito si innamorò a prima vista di quegli occhi azzurri come il mare. Erano trascorsi da allora più di vent’anni e mai ebbe il coraggio di dirglielo.

Layla: “Hey tesoro (lo chiamava sempre così quando doveva chiedergli qualcosa) come va?”

Jonas: “Ciao…si va avanti, credo. Dimmi pure, ma veloce poiché sto lavorando.”

Layla: “Ma come non ricordi? Oggi è il mio compleanno, stronzo. Mi fa piacere che ti sia ricordato e grazie per gli auguri. Comunque sia, avrai avuto i tuoi pensieri per la testa come al solito quindi tranquillo. Stasera do una festa a casa mia e vorrei venissi anche tu. Alle 20:00, sii puntuale così dai anche una mano a preparare.”

Jonas odiava le feste. Persone che non si scambiavano mai la parola fingevano di essere grandi amici. Si parlava di cose futili come ragazze, sport e altre cazzate di vario genere. Poi tutto quel rumore, le urla stridule, tutte quelle persone vicino a lui lo mettevano molto a disagio. Ma era pur sempre la migliore amica, quindi…

Jonas: “Certo, stai tranquilla.”

Layla: “Bene a stasera allora.”

In quello stesso istante un uomo, Mikael, dall’altra parte della città aveva già programmato la sua di serata. Era rimasto disoccupato, pieno di debiti da saldare e senza nessuno accanto. La moglie morì tempo prima a causa del cancro e i suoi due figli, dopo la sua morte non si fecero più vedere.

13:00

La pausa pranzo era uno dei momenti meno dolenti della giornata. C’era un parchetto nelle vicinanze, si radunava sempre su quelle panchine. Quel giorno, mentre stava tirando fuori il suo pranzo, osservò una madre intenta a giocare con suo figlio. Un senso di malessere pervase il suo corpo, pensando che lui quel tipo d’affetto non lo ricevette mai. Neanche una volta. Suo padre era sempre fuori per lavoro ed ogni volta che i due intraprendevano una conversazione, non faceva altro che parlare della sua squadra del cuore e di soldi. Già…fin da piccolo avevo aperto gli occhi sull’aspetto reale delle cose, sulla mano invisibile che controlla tutto e tutti. I pensieri sovrastarono per un attimo. Le voci iniziarono ad assillarlo, a toglierli la capacità di controllarle. Fino a che il bambino cadde per terra, sbucciandosi il ginocchio. La madre lo rimproverava e lui non ne capiva il motivo. Perché privarli della libertà? E soprattutto della capacità di autoresponsabilizzarsi? Smise però di pensare e cercò di consumare il suo pasto. Lo stomaco era chiuso, non entrava niente. Sulla strada di ritorno per l’ufficio Mikael gli passò accanto e lui ebbe una strana sensazione. Sul marciapiede vide un senzatetto, si avvicinò e gli consegnò il pranzo e qualche spicciolo. Poi tornò a lavoro.

18:00

La giornata lavorativa era finita. Era un loop infinito senza alcuna via d’uscita. Ogni giorno, quando consegnava le ultime scartoffie, provava lo stesso vuoto. Iniziava e finiva tutto allo stesso modo. Era prigioniero e lo sapeva, purtroppo però era costretto ad adattarsi. Una parte di lui, nel profondo, rifiutava tutto questo. Prese di nuovo il tram e fece ritorno a casa. Aprì il pacchetto di sigarette appena comprato e si gettò sul letto. Quella casa era un vero schifo; non si riusciva a capire da quanto tempo non gli venisse data una ripulita o al minimo una sistematina. La confusione la faceva insomma da padrona. Gettato il mozzicone sul pavimento, decise di riposarsi almeno un’oretta prima della festa. Gli occhi però non riuscivano a chiudersi. Continuava a sentire quella strana sensazione come se qualcosa di brutto sarebbe successo quella sera. Così, accantonata l’idea del riposarsi si sedette vicino al suo scrittoio buttando giù tutto ciò che gli passasse per la testa. Non aveva una TV né tantomeno usava i social. Queste cose, lo spaventavano più di ogni altra cosa. Il controllo, la manipolazione erano solo alcuni degli aspetti che lo portarono a fare determinate scelte. Il tempo passò molto velocemente e l’orologio appeso in salotto segnava che era quasi ora.

19:30

Mikael stava fermo fuori il suo terrazzo a guardare un’ultima volta il tramonto scendere sulle montagne. Piangeva perché il suo destino ormai era imminente; oramai lo aveva accettato. Non aveva più niente da perdere né da guadagnare. Anzi l’unica via di liberazione era proprio quella che aveva predetto.

Jonas, nel frattempo, si stava preparando per la festa. Si guardo allo specchio, non riconoscendosi più nemmeno nella sua immagine. Il fisico era debole e magro, quasi spuntavano le ossa. Le occhiaie di sera erano sempre più vivide, le labbra erano totalmente screpolate. I suoi capelli erano disordinati e la barba incolta. Insomma, decise di sistemarsi quanto meglio poteva. Una volta finito il risultato non era dei migliori ma migliore del precedente. Una volta vestitosi, prese le sue medicine ed uscì di casa. Mikael fece lo stesso andando al cimitero per salutare sua moglie.

20:15

I preparativi per la festa erano già cominciati. Jonas arrivo con un quarto d’ora di ritardo ma a pensarci bene, non fu mai così puntuale. Entrò in casa e quasi metà degli invitati era già lì. Cerco Layla trovandola poi in soggiorno intenta a preparare il cibo. Toccandogli la spalla da dietro, si girò e lo abbracciò.

Jonas: “Scusa per stamattina, volevo farti i miei migliori auguri. Tieni, ho preso un pensierino per te…”

Gli porse una bustina color oro, il quale contenuto pareva renderlo soddisfatto. Lei lo aprì e sorrise.

Layla: “Ascoltavamo sempre questo disco quando eravamo piccoli. Ti ricordi? Non dovevi, lo apprezzo veramente molto. Questo regalo è molto importante per me.”

Il disco era Dark Side Of The Moon. Proprio in quel momento, i loro spiriti sembravano volersi comunicare qualcosa ma il tutto fu interrotto da Jason, il simpaticone del gruppo. Ergo, un’idiota.

Layla: “Cazzo, scusami. Devo andare a finire di sistemare, tu nel frattempo puoi metterti comodo ed aspettare. A dopo.”

23:00

Tutti si stavano divertendo. Ragazzi sconosciuti che ci provavano con le più carine, giochi alcolici dove quello che vinceva era quello che vomitava subito, persone che non si parlavano mai e in quella circostanza sembravano culo e camicia. Jonas se n’era stato in disparte tutto il tempo, bevendo solo un paio di birre e qualche shot di Bourbon. Per tutta la serata però non aveva visto Layla in mezzo a tutte quelle persone. Il che, ovviamente, gli parse strano. La festeggiata era lei dopotutto. Si alzò quindi per andare a cercarla ma niente. Un ragazzo che aveva decisamente esagerato con i drink gli vomitò sulle scarpe. Poi barcollando continuò a girovagare. Ancora più a disagio, salì per le scale in cerca del bagno al piano superiore.

Nel frattempo, Mikael continuava a camminare; senza meta e senza posto dove andare. Si fermò ad un bar sul ciglio della strada dove si ubriacò fino a perdere quasi i sensi. Il barista fu costretto ad accompagnarlo all’uscita, dato che iniziava a cercare di litigare con i presenti. Barcollante in piena notte, proseguiva la sua strada aspettando il momento. Giunta la 00:00 tutta quella sofferenza sarebbe finita. Esattamente lo stesso orario in cui sua moglie morì. Il giorno del loro anniversario.

23:40

Dopo essersi pulito con non poca fatica le scarpe, uscì dal bagno e ricominciò a cercare Layla. Non poteva essere sparita, doveva pur essere da qualche parte. Vide una stanza la quale aveva la porta socchiusa. Decise con passo attento di entrare ed era lì. Stava scopando con James. Il cuore d’improvviso gli andò in frantumi. Ricordava che fosse stata con altri ragazzi; quell’immagine di fronte ai suoi occhi però lo rimase pietrificato. Mentre camminava all’indietro, cercando il più possibile di allontanarsi, inciampò su di uno scalino facendolo precipitare per tutta rampa di scale. Accorsero chi più poteva per vedere se stesse bene. Jonas maledisse tutti e con il sangue che gli colava dalla fronte decise di andarsene. Tutto quel rumore aveva spaventato la ragazza che scese più veloce che poteva. Lo cercò ma sembrava sparito quindi prese la giacca, le chiavi dell’auto ed uscì per andare a cercarlo. Lo trovò camminare sul bordo di una stradina. Abbassato il finestrino, gli chiese dove stesse andando. Nessuna risposta.

Layla: “Ma che diavolo ti è preso? Cosa hai fatto alla faccia? Senti, non stai bene…Sali in auto che ti do un passaggio a casa.”

Jonas rispose con voce quasi singhiozzante

Jonas: “Tu eri l’unica cosa che mi facesse sentire vivo, tu! Ed ora è tutto sparito. Vaffanculo! Non voglio niente da te, torna pure alla tua festa e divertiti. D’altronde, lo stavi facendo no?”

Layla rimase per un attimo in silenzio, poi replicò:

Layla: “Non so che cosa credi di aver visto, però mi dispiace. Dai, sali in auto così ne parliamo meglio.”

Dopo un momento di esitazione, il ragazzo salì in auto.

Jonas: “Mi mancano i tempi in cui eravamo piccoli. Eravamo così spensierati, gioiosi di vivere. Ricordi quando facevamo gli scherzi alla signora Stanford e poi scappavamo? Si cazzo, che ricordi.”

Layla: “Si, ricordo ogni momento passato con te. Sai perché? Perché quando ti vidi da quell’altalena, capii che saresti stata la migliore cosa che mi sarebbe mai capitata in tutta la mia vita.”

Jonas rimase perplesso mentre continuavano a proseguire verso casa sua.

Jonas: “Ti amo e ti ho sempre amata Layla. Perché sei vera, perché non sei mai stata come loro. Perché eri reale. Perché sei reale.”

La ragazza non rimase sorpresa, tutt’altro.

Layla: “Anche io ti amo amore mio, ma sappiamo entrambi che le cose non stanno così. Io sono morta. Sei tu che stai guidando l’auto. Mi hai fatto una promessa, le lancette stanno quasi per suonare. Poi staremo insieme.”

23:58

Giunse il momento. Jonas e Mikael erano la stessa persona. Dopo l’incidente, cercò di cambiare identità per lasciarsi il suo passato alle spalle. Il risultato fu però fallimentare. Svolto verso l’autostrada aumentando sempre di più la velocità. Accese lo stereo. Nell’auto risuonava il loro gruppo preferito e la loro canzone preferita. Hey You non l’aveva mai sentita trapassargli il suo spirito così forte. Mancavano solo due minuti.

00:00

Aveva ormai superato i 130km/h e aumentava sempre di più. Proprio mentre la canzone intonava i versi “Open your heart, I’m coming home” scoccò la mezzanotte. Chiuse gli occhi con un cenno di sorriso su quelle labbra screpolate e si schiantò sul Guardrail. La macchina fu trovata in mille pezzi, lui morì sul colpo. Nella morte però trovò la vita, trovò una speranza ormai perduta, trovò la felicità. Era libero. Era con l’amore della sua vita danzando fra le stelle. Aveva mantenuto la sua promessa.

Nicola Barbarisi, Avellino

 

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