Un sentiero storico-culturale nel cuore della Sila. Ogni qualvolta ritorno a Longobucco lo faccio molto volentieri e sempre la sua gente mi trasmette una grande ospitalità. Personalmente preferisco arrivare in paese dalla strada che dal Cupone passa prima per Cava di Melis per poi attraversare i maestosi boschi della Sila dove, nelle giornate serene, i raggi del sole disegnano suggestivi giochi di luce e dopo gli ultimi tornanti, aprendosi all’orizzonte offre uno spettacolo unico. In lontananza, il paese incastonato al centro di un enorme anfiteatro naturale. Il motivo che oggi mi ha portato a Longobucco è una visita alle famose miniere di argento di cui spesso ho sentito parlare dagli amici del posto. È un racconto che mi ha sempre affascinato e che ogni volta, allettando la mia immaginazione, mi porta a ritroso nel tempo, ai “cavatori dell’argentera” che a suon di colpi di piccone cavavano dalle viscere della terra la “galanza” cioè la galena argentifera. I primi documenti testimonianti questa attività risalgono al dodicesimo secolo quando, nel 1197, l’Imperatore Enrico VI inviò Pietro di Livonia a sovrintendere all’estrazione del prezioso minerale. Da allora nelle miniere di Longobucco si continuò a lavorare più o meno intensamente fino al grave terremoto del 1783. I documenti custoditi presso l’Archivio di Stato di Napoli e conservati in copia nella Biblioteca Comunale “Bruno da Longobucco” hanno consentito una fedele e dettagliata ricostruzione delle varie fasi di lavorazione del minerale. L’attività estrattiva si svolgeva in perfetta alternanza con quella agreste, infatti iniziava nel mese di marzo e terminava a fine giugno, quando i campi erano pronti per la mietitura. Riprendeva a metà agosto per poi sospendere nuovamente in ottobre per dedicarsi alla vendemmia e alla raccolta delle olive. Le vene del minerale venivano individuate con possenti getti d’acqua raccolta in vasche dette “zunfi” e poi rilasciata sviluppando, anche grazie alla pendenza, una pressione in grado di scavare il terreno. Il minerale estratto era portato al mulino per essere macinato e poi al lavatoio per essere pulito quindi veniva quindi fuso per separare l’argento dagli altri minerali. Il sentiero “La Via delle Miniere” inizia immediatamente fuori paese, nella località “Mulinu e ru Rizzu” e, subito dopo avere oltrepassato il torrente Manna, si inerpica immerso in una rigogliosa vegetazione. Poi il percorso si snoda lungo un viottolo che costeggia il corso del torrente. Dopo qualche centinaio di metri si passa sul versante destro, dove si erge maestosa la Pietra Longa, un imponente picco roccioso che dà il nome alla località; il cammino riprende sempre all’ombra di maestosi alberi di castagno e ontano. Si scende di nuovo verso il torrente e dopo un’ansa si oltrepassa nuovamente, infine, dopo altri trecento metri si arriva all’imbocco della miniera. Qui ci fermiamo poiché, per ovvie ragioni di sicurezza, non è consigliabile entrare nel cunicolo. Poco più avanti, sulla sinistra, sono visibili le tracce dell’antica attività di estrazione. Questo sentiero era in passato un vero e proprio crocevia di gente affaccendata in lavori diversi: c’erano i “metalliferi” alla ricerca di argento, i pastori che portavano il loro bestiame dagli aridi pascoli costieri a quelli rigogliosi della Sila, i boscaioli che lavoravano il legname sfruttando la forza delle acque del Torrente Manna, i contadini che negli orti sapientemente ricavati vi coltivavano orzo e segala. Oggi questo stesso sentiero così carico di memoria può essere un’occasione per incontrare un paese come quello di Longobucco dove la tradizione e il rispetto della propria storia e cultura rappresentano un valore importante. Ecco perché questo luogo mantiene sempre un fascino unico. Come sempre venire a Longobucco è come entrare in uno scrigno fatato dove la tradizione e il rispetto della propria storia e cultura rappresentano un valore importante, ecco perché questo luogo mantiene sempre un fascino unico.
Fausta Giuseppina Comite