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È una fresca giornata d’autunno, le foglie cadono dolcemente dagli alberi, la foresta è sempre più incantata e misteriosa, i colori splendono nella loro piena bellezza e regalano alla vista paesaggi mozzafiato. Come un quadro in cui il giallo e l’arancione si mescolano al rosso e al verde, il sole che filtra tra i rami della fitta foresta, sembra giocare come fosse un pennello che spalma pian piano di qua e di là dando gioia immensa a chi si avventura alla ricerca della pace e della quiete che regnano sovrane in questi luoghi magnifici.

Ci troviamo a Lorica, nel cuore del Parco Nazionale della Sila, luoghi incantati, alte montagne ricoperte da foreste rigogliose interrotte qualche volta da prati o da ruscelli, dimora per moltissime creature quali cervi, scoiattoli meridionali, gufi e per il re dei nostri boschi: il lupo.

La possibilità di praticare trekking così da potersi immergere nelle meraviglie che il territorio ha da offrire sono praticamente infinite, camminando silenziosi si ha la possibilità di incontrare gli abitanti del bosco, tra i tanti uno dei più curiosi è sicuramente lo scoiattolo meridionale, tipico animaletto color nero e dal ventre bianco.
Dall’alba al tramonto, dalla luce calda a quella più fredda, le emozioni si alternano, passando dai misteriosi boschi di faggio a quelli di pino laricio e abete, si entra in una favola, in un mondo sempre diverso, si può osservare la luce che filtra tra gli alberi, le gocce di rugiada che sembrano piccoli cristalli, le foglie di mille colori, farfalle e altri insetti che succhiano il nettare dai fiori del sottobosco, si possono raccogliere le fragoline o le more, vi sono funghi di ogni specie incastonati a volte nelle radici o nelle rocce ricoperte da morbido muschio.

Questo e molto altro è la Sila, patrimonio dell’UNESCO, il luogo dove si respira l’aria più pura d’Europa, dove la natura fa la sua parte, dove i boschi sono immensi e diversi, dove l’inverno con la neve si può sciare e ammirare il paesaggio che non ha sicuramente nulla da invidiare a quelli nordici, a mio avviso anche superiore, dove la pace regna sovrana, dove infine l’uomo può sentirsi abbracciato e accolto.

Il Belvedere del Malvento è una meravigliosa terrazza panoramica che si affaccia sulle pareti di Timpone della Capanna e offre una vista sulla Piana di Castrovillari e sulle cime dei monti dell’Orsomarso. Da qui ho potuto ammirare il Pino Loricato, simbolo del Parco Nazionale del Pollino. In questa zona ci sono arrivata passando attraverso Piano Ruggio, al confine fra la Basilicata e la Calabria, che offre ampie praterie che in primavera regalano suggestivi colori. Arrivata al Belvedere del Malvento, mi sono trovata davanti a quell’unicità che è il Pino Loricato.

Un albero maestoso di origini antichissime un vero e proprio “fossile vivente” arrivato qui dai Balcani. Viene definito “l’albero solitario” perché gli esemplari si trovano spesso distanti da altri alberi. Sul Pollino riesce a vivere dove altre specie sparirebbero dopo pochi istanti, infatti, lo troviamo abbarbicato sulle rocce in alta quota nelle zone più impervie del parco. Un albero plurisecolare che né il gelo, né i forti venti possono spezzare. Il più longevo, proprio fra la Calabria e la Basilicata, è arrivato a vivere 963 anni come riporta uno studio effettuato nel 1989 in quella zona. Insomma dal Belvedere del Malvento si può godere di una visione unica nel suo genere, spaziando dai bellissimi esemplari di pino loricato aggrappati alle rocce al panorama mozzafiato che si presenta ai miei occhi sbalorditi.

Un paesaggio naturale impareggiabile. Nel cuore del Pollino si trova la bellissima Valle del Lao dove scorre il fiume che porta questo nome. Quando ho visto per la prima volta questo spettacolo il fiato mi si è mozzato. Il fiume Lao nasce in realtà nella Basilicata con il nome Mercure e poi arriva in Calabria, dove cambia il suo nome, e attraversa una suggestiva zona nel settore nord-ovest dei Monti dell’Orsomarso, dove le vette raggiungono quasi 2000 metri di altezza. Tutto questo territorio, secondo diversi studi, risulta essere stato frequentato sin dall’antichità dalle carovane che andavano e tornavano da Sybaris per il commercio con l’Oriente. Dal 1987 qui è stata istituita la Riserva Naturale Orientata Valle del Fiume Lao. A pochi passi da qui si può visitare la Grotta del Romito che, scoperta nel 1961, rappresenta ancora oggi una delle testimonianze più importanti dell’era preistorica in Italia. Tornando ai nostri giorni, invece, se alziamo lo sguardo al cielo della Valle del Lao possiamo scorgere il volo del falco pellegrino e del corvo imperiale insieme al gufo che nidifica tra le rocce delle gole. A terra, la fanno da padrone il cinghiale e il gatto selvatico. Il fiume Lao è meta di turisti, ogni anno, per la sua bellezza e per la possibilità di effettuare rafting usufruendo dei servizi offerti da istruttori qualificati. Uno spettacolo che almeno una volta nella vita si deve osservare e un cammino in questi luoghi che consiglio vivamente di fare.

Parlavano tutti del vitigno più alto d’Europa circondato dalla meravigliosa foresta di pini larici. Volevo assolutamente arrivarci e perciò decisi di spingermi fino a Cava di Melis, una frazione di Longobucco in provincia di Cosenza.
Me ne interessai soprattutto per la storia avvincente, eroica e familiare: l’impresa di Emanuele è infatti un sogno che ha percorso diverse generazioni della famiglia De Simone, dal nonno Domenico al padre Emanuele Senior.
Finalmente arrivo a destinazione, fino a 1300 metri di altezza, nel cuore del Parco Nazionale della Sila: gli alberi creano un cappello di conifere sopra la mia testa in un gioco di luci che colpisce subito la mia attenzione, in un silenzio esemplare, dove solo i suoni armoniosi della natura orchestrano la melodia della vita, mentre il lago Cecita in lontananza mi guarda immobile.
Eccolo! Vedo le sue foglie, la sua maestosità. Davvero un esperimento ben riuscito e dal quale si producono vini come il Pinot nero, Cabernet, Riesling, Savignon, Muller Thurgau e Merlot. Qualità resistenti all’inverno della montagna silana, dove le temperature a volte arrivano anche a – 20 °C.
Sono quasi passati dieci anni dall’impianto di questo esemplare ma la cura che gli dedicano ogni giorno è assolutamente maniacale.
Mi fermo ancora un po’ ad ammirare il paesaggio, un posto ottimo per lasciarsi andare alle riflessioni più profonde. Sono contento infatti di aver fatto la scampagnata da solo. Un momento che ho vissuto a pieno, dentro me stesso.

Mi ha sempre affascinato leggere le storie dei viaggiatori del Grand Tour.
Difficile per me inquadrarli: se considerarli scrittori, viaggiatori, esploratori, folli se considerate che spesso si sono trovati in luoghi e contesti complicati dove nei loro scritti traspare non poco il pericolo, l’incertezza dei posti e dell’incolumità personale messa a rischio.
Per rivivere quanto letto ho deciso di fare un’escursione e ripercorre alcuni tratti del percorso fatto da Norman Douglas. In particolare quello che porta nel centro storico di Longobucco.
Visto da lontano dal lato giusto è possibile ammirare la bellezza del borgo antico libero dalle contaminazioni urbanistiche degli ultimi 60 anni. Incastonato tra le valli silane a difesa dalle incursioni che potevano venire dal versante jonico.
L’elemento più affascinante, raccontato in parte anche da Norman Douglas, è la cultura longobucchese una comunità difficile da raggiungere almeno da quanti arrivano dal capoluogo di provincia Cosenza, a breve invece sarà terminata una strada che lo collegherà alla costa jonica in poco meno di mezzora.
Una comunità che, a causa o meglio per fortuna del suo parziale isolamento, è riuscita non solo a mantenere tradizioni e culture antiche, ma soprattutto quella genuinità e accoglienza rustica che ti trasporta indietro nel tempo, dove i rapporti umani, la curiosità e la voglia di dialogare con lo straniero (ora turista) ha origini ancestrali.
La mia esperienza è stata breve ma intensa.
Sono arrivato in paese verso le 11,30 in una giornata del mese di settembre. I turisti e gli emigranti erano ormai partiti, in piazza un gruppo di longobucchesi di varie generazioni era impegnato chi a giocare a carte chi a dialogare nella piazzetta all’ombra della statua di Bruno da Longobucco.
L’ora chiaramente era quella che anticipava il pranzo quindi mi sono fermato a parlare con due signori di mezz’età cercando di farmi indicare dove poter mangiare e soprattutto cosa chiedere.
Dopo pochi minuti eravamo tutti seduti ad un tavolo di una trattoria nei pressi della piazza principale (a fare un aperitivo nostrano) mangiando sardella (una sorta di paté… di pesce condito con sale e pepe) spalmata su fette di pane casereccio, accompagnata da cipolla cruda e un bicchiere di vino locale.
L’abbinamento tra un cibo salato e piccante con il vino è pericoloso perché: uno spinge a bere per attenuare il piccante e il salato, mentre l’altro spinge a mangiare per contenere gli effetti della gradazione alcolica.
Chiaramente l’aperitivo è durato circa un’ora e mezza dopodiché i nostri amici commensali come se niente fosse, sono andati anche a pranzare (ci hanno anche invitato ma eravamo più che sazi) mentre noi siamo rimasti a dormire sotto un albero nei pressi delle miniere d’argento che chiaramente non siamo riusciti a visitare perché quando ci siamo svegliati era ormai tardi.
Torneremo con più tempo, anzi con il giusto tempo che ci vuole per visitare luoghi dove il tempo ha il ritmo della buona vita.

Una piacevole atmosfera accoglie il visitatore in queste ore in Sila. La magia della montagna è percepibile lungo le rive del lago Arvo, nel cuore del Parco Nazionale della Sila-Riserva della Biosfera “Mab Sila” dell’UNESCO.  I paesaggi, che non hanno nulla da invidiare a quelli del nord Europa, si incastrano perfettamente in questi luoghi, rendendo il tutto molto pittoresco. Il profumo dal pino laricio conquista l’aria, e si mescola a quello che sale dalla rigogliosa vegetazione presente sui prati che circondano il lago. Girovagando tra i numerosi sentieri subito l’occhio del visitatore è attirato da un piccolo mammifero, che ha colonizzato questi boschi. Agile, dal colore nero con sfumature grigie, e dal bianco ventre: lo scoiattolo è una sentinella attenta di questi boschi.  Diversi sono gli “abitanti” che, nel silenzio assoluto potrebbero far capolino, come i ghiri e i moscardini. Penetrando nel cuore del bosco, ogni fruscio potrebbe regalare una sorpresa, infatti cinghiali, lepri, faine, puzzole e caprioli scorrazzano nella natura incontaminata della Sila.  I turisti più fortunati potrebbero anche imbattersi nei colori straordinari del gatto selvatico o perché no, anche dei lupi.  Tre sono i branchi che vivono in libertà, di questo mammifero eccezionale, diventato il simbolo per eccellenza del Parco Nazionale della Sila. Torrenti dalle acque cristalline, cascate, insenature da “Le mille e una notte”, l’aria più pulita d’Europa, accoglienza e atmosfera unica, rendono il Parco una meta da visitare, dove poter trovare riparo dalla routine quotidiana e perché no, purificare il corpo e la mente dai tanti problemi quotidiani.  Non resta che immergersi alla scoperta di questi luoghi incantati e farsi letteralmente trasportare da queste meraviglie.

La Sila è piena di luoghi di culto. Luoghi mistici che rimandano alla riflessione anche quando si è in relax. Luoghi, fra l’altro, bellissimi e ricchi di storia. La Sila crotonese ospita un paese in particolare che dei luoghi di culto ne fa una vera e propria attrattiva. Si tratta di Mesoraca dove sono stati costruiti, nel corso dei secoli, una decina fra chiese e conventi.

Il nostro tour incomincia con la chiesa dell’Annunziata. Dedicata ai Santi Pietro e Paolo, si trova nel rione Annunziata, vicino al castello, nel centro della città vecchia. All’interno ho potuto ammirare anche degli affreschi sulla volta e un dipinto di Cristofaro Santanna. Scendendo poi verso rione Campo, andiamo a visitare la chiesa del Ritiro. Dentro c’è un grande dipinto che celebra la Madonna e, per la sua bellezza, è, sin dagli anni ‘30, dichiarato monumento d’interesse nazionale. Basta entrarci una sola volta per capirne il perché del resto. Basta osservare le campane che sono lì dalla fine del 1700. Se ci spostiamo nei pressi del Monte Giove possiamo entrare nel Santuario del Santissimo Ecce Homo. Arrivati qui ci pervade un senso di pace e possiamo ammirare le tante opere artistiche che lo abbelliscono fra cui la statua della Madonna delle Grazie scolpita nel marmo di Carrara e la statua in bronzo che raffigura San Francesco d’Assisi. Chi vive in questi luoghi racconta che il santuario, nel corso, dei secoli ha ospitato Papa Zosimo e Sant’Umile da Bisignano. Si possono vedere i resti delle mura dell’Abbazia di Sant’Angelo in Frigillo che ha goduto della protezione di Federico II e possiamo visitare la chiesa rinascimentale che una volta era all’interno del Convento dei Cappuccini (dove oggi sorge il cimitero). A Mesoraca, alzando gli occhi al cielo nella zona di Filippa, vedremo il campanile della chiesa di San Michele Arcangelo con i suoi tre altari in marmo e, alle pareti, la raffigurazione delle tredici stazioni della Via Crucis. Il nostro viaggio nei luoghi di culto continua alla chiesa della Candelora che celebra i Santi Nicola e Giovanni Battista, la chiesa della Santissima Immacolata e quella di Longobucco. Il nostro itinerario termina con i resti del monastero di Santo Stefano. Un viaggio adatto ai cattolici e non, perché grazie all’arte, Mesoraca incanta chiunque.

Sono venuta in vacanza in Calabria per la prima volta quest’anno per un weekend.
Me ne avevano parlato alcuni amici amanti della montagna, ma il mio sguardo era sempre rivolto verso il nord da Roma in su.
Poi quest’anno un po’ per mancanza di tempo a disposizione e un po’ per curiosità ho deciso di venire in Sila. Da Bari abbiamo preferito percorrere la 106 jonica anche per fare una visita veloce a Le Castella. Che meraviglia! Da lì quindi ci siamo inerpicati su per le montagne verso il Parco Nazionale della Sila. Seppure disorientati dal viaggio pieno di curve, quando davanti a noi, si è aperto il panorama del lago Ampollino è stato un momento meraviglioso.
Siamo arrivati nel tardo pomeriggio il sole era disteso sull’acqua e irraggiava una luce rossastra che si infilava nei boschi che costeggiano il lago creando giochi di luce entusiasmanti.
Io, mio marito e le mie due figlie siamo rimasti immobili ad ammirare il paesaggio per almeno un’ora circa, in silenzio storditi dalla bellezza dei luoghi.
Sarebbe bastato questo momento per giustificare una vacanza eppure non è stato così nel giorno seguente abbiamo fatto delle meravigliose passeggiate per poi presto rientrare a casa, ma con l’intenzione di tornare l’anno prossimo, perché ci sono luoghi che ti entrano dentro e non ti lasciano più.
La Sila è uno di questi posti. Per parafrasare un noto slogan pubblicitario “La Sila è per sempre”.

La prima domenica di giugno centinaia di fedeli si ritrovano a San Severino Lucano per rendere omaggio alla statua della Madonna del Pollino e visitare il suo santuario.

Miracoli e leggenda mescolano la storia di questo luogo. Pare che, nel 1700, la Madonna apparve sul monte ad un pastore che, tornato a valle, raccontò a tutti la sua esperienza. Dopo aver sentito questa storia, due donne si recarono in questo luogo perché una di loro era in cerca di una cura miracolosa per il marito malato. Mentre erano in cerca di una fontana perché assetate dalla fatica del loro cammino, le due donne s’imbatterono in una grotta dove trovarono una cassa di legno. Aperta, al loro interno trovarono la statua della Madonna con il Bambino in mano. Tornate a casa, l’uomo malato guarì e fu lui a edificare la chiesa. Questa, però, non è l’unica leggenda che si tramanda sulla Madonna del Pollino. C’è chi racconta, infatti, che la Madonna, avvolta in un fascio di luce, apparve ai pastori nella grotta e da quel giorno iniziarono a venerare il luogo.

Qualunque sia la verità che ha portato alla costruzione del Santuario della Madonna del Pollino ogni anno, la prima domenica di giugno, i fedeli portano in processione la statua facendo in modo che questa venga baciata dal sole che splende sulla grande montagna. Balli e canti accompagnano la processione che coinvolge anche le comunità calabresi e lucane vicine a San Severino.

L’adorato simulacro resterà nel santuario fino alla seconda domenica di settembre quando sarà riportato in processione nella chiesa madre di Santa Maria degli Angeli.

Acquaformosa è una delle comunità arbëreshë più vive del Pollino. È rinomato per essere il paese dell’accoglienza verso i migranti costretti ad arrivare nel nostro Paese in fuga dai loro luoghi natii per colpa di guerre o altri soprusi indicibili. Fra tutto quello che si può visitare ad Acquaformosa, una menzione speciale la merita il Santuario della Madonna del Monte. All’interno di questo luogo di culto, che si trova a 1400 metri d’altezza, c’è la statua della Madonna che allatta e a lei sono legate due leggende che ancora oggi vengono narrate da queste parti. Ci raccontano che la statua della Madonna fu ritrovata da un pastore in una località dal nome Timba e piasur (che tradotto in italiano significa “pietra spaccata”) e che da qui i monaci la trasportarono all’interno della chiesa per paura che qualcuno la trafugasse. L’altra versione della leggenda dice che fu la statua stessa della Madonna a spostarsi da sola come per miracolo. Sia che una delle due leggende sia vera, sia che non lo sia nessuna delle due, oggi la statua della Madonna che allatta si trova all’interno del santuario collocato sulla montagna insieme ad un affresco che raffigura Sant’Anna. Lo “spostamento” della statua però è rimasto nei rituali dei festeggiamenti. Ogni anno, l’ultima domenica di luglio, i fedeli portano sulle proprie spalle la statua della Madonna che allatta e la conducono nel luogo del suo ritrovamento facendola passare tra la folla dove accorrono anche molti pellegrini o semplici curiosi. Arrivati sul posto, gettano una pietra nel burrone atto che simboleggia la volontà di tornare l’anno seguente per le celebrazioni. Questa grande festa è un momento di unione per tutte le comunità che vivono intorno ad Acquaformosa.