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Parco Nazionale del Pollino

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Il Belvedere del Malvento è una meravigliosa terrazza panoramica che si affaccia sulle pareti di Timpone della Capanna e offre una vista sulla Piana di Castrovillari e sulle cime dei monti dell’Orsomarso. Da qui ho potuto ammirare il Pino Loricato, simbolo del Parco Nazionale del Pollino. In questa zona ci sono arrivata passando attraverso Piano Ruggio, al confine fra la Basilicata e la Calabria, che offre ampie praterie che in primavera regalano suggestivi colori. Arrivata al Belvedere del Malvento, mi sono trovata davanti a quell’unicità che è il Pino Loricato.

Un albero maestoso di origini antichissime un vero e proprio “fossile vivente” arrivato qui dai Balcani. Viene definito “l’albero solitario” perché gli esemplari si trovano spesso distanti da altri alberi. Sul Pollino riesce a vivere dove altre specie sparirebbero dopo pochi istanti, infatti, lo troviamo abbarbicato sulle rocce in alta quota nelle zone più impervie del parco. Un albero plurisecolare che né il gelo, né i forti venti possono spezzare. Il più longevo, proprio fra la Calabria e la Basilicata, è arrivato a vivere 963 anni come riporta uno studio effettuato nel 1989 in quella zona. Insomma dal Belvedere del Malvento si può godere di una visione unica nel suo genere, spaziando dai bellissimi esemplari di pino loricato aggrappati alle rocce al panorama mozzafiato che si presenta ai miei occhi sbalorditi.

Un paesaggio naturale impareggiabile. Nel cuore del Pollino si trova la bellissima Valle del Lao dove scorre il fiume che porta questo nome. Quando ho visto per la prima volta questo spettacolo il fiato mi si è mozzato. Il fiume Lao nasce in realtà nella Basilicata con il nome Mercure e poi arriva in Calabria, dove cambia il suo nome, e attraversa una suggestiva zona nel settore nord-ovest dei Monti dell’Orsomarso, dove le vette raggiungono quasi 2000 metri di altezza. Tutto questo territorio, secondo diversi studi, risulta essere stato frequentato sin dall’antichità dalle carovane che andavano e tornavano da Sybaris per il commercio con l’Oriente. Dal 1987 qui è stata istituita la Riserva Naturale Orientata Valle del Fiume Lao. A pochi passi da qui si può visitare la Grotta del Romito che, scoperta nel 1961, rappresenta ancora oggi una delle testimonianze più importanti dell’era preistorica in Italia. Tornando ai nostri giorni, invece, se alziamo lo sguardo al cielo della Valle del Lao possiamo scorgere il volo del falco pellegrino e del corvo imperiale insieme al gufo che nidifica tra le rocce delle gole. A terra, la fanno da padrone il cinghiale e il gatto selvatico. Il fiume Lao è meta di turisti, ogni anno, per la sua bellezza e per la possibilità di effettuare rafting usufruendo dei servizi offerti da istruttori qualificati. Uno spettacolo che almeno una volta nella vita si deve osservare e un cammino in questi luoghi che consiglio vivamente di fare.

La prima domenica di giugno centinaia di fedeli si ritrovano a San Severino Lucano per rendere omaggio alla statua della Madonna del Pollino e visitare il suo santuario.

Miracoli e leggenda mescolano la storia di questo luogo. Pare che, nel 1700, la Madonna apparve sul monte ad un pastore che, tornato a valle, raccontò a tutti la sua esperienza. Dopo aver sentito questa storia, due donne si recarono in questo luogo perché una di loro era in cerca di una cura miracolosa per il marito malato. Mentre erano in cerca di una fontana perché assetate dalla fatica del loro cammino, le due donne s’imbatterono in una grotta dove trovarono una cassa di legno. Aperta, al loro interno trovarono la statua della Madonna con il Bambino in mano. Tornate a casa, l’uomo malato guarì e fu lui a edificare la chiesa. Questa, però, non è l’unica leggenda che si tramanda sulla Madonna del Pollino. C’è chi racconta, infatti, che la Madonna, avvolta in un fascio di luce, apparve ai pastori nella grotta e da quel giorno iniziarono a venerare il luogo.

Qualunque sia la verità che ha portato alla costruzione del Santuario della Madonna del Pollino ogni anno, la prima domenica di giugno, i fedeli portano in processione la statua facendo in modo che questa venga baciata dal sole che splende sulla grande montagna. Balli e canti accompagnano la processione che coinvolge anche le comunità calabresi e lucane vicine a San Severino.

L’adorato simulacro resterà nel santuario fino alla seconda domenica di settembre quando sarà riportato in processione nella chiesa madre di Santa Maria degli Angeli.

Acquaformosa è una delle comunità arbëreshë più vive del Pollino. È rinomato per essere il paese dell’accoglienza verso i migranti costretti ad arrivare nel nostro Paese in fuga dai loro luoghi natii per colpa di guerre o altri soprusi indicibili. Fra tutto quello che si può visitare ad Acquaformosa, una menzione speciale la merita il Santuario della Madonna del Monte. All’interno di questo luogo di culto, che si trova a 1400 metri d’altezza, c’è la statua della Madonna che allatta e a lei sono legate due leggende che ancora oggi vengono narrate da queste parti. Ci raccontano che la statua della Madonna fu ritrovata da un pastore in una località dal nome Timba e piasur (che tradotto in italiano significa “pietra spaccata”) e che da qui i monaci la trasportarono all’interno della chiesa per paura che qualcuno la trafugasse. L’altra versione della leggenda dice che fu la statua stessa della Madonna a spostarsi da sola come per miracolo. Sia che una delle due leggende sia vera, sia che non lo sia nessuna delle due, oggi la statua della Madonna che allatta si trova all’interno del santuario collocato sulla montagna insieme ad un affresco che raffigura Sant’Anna. Lo “spostamento” della statua però è rimasto nei rituali dei festeggiamenti. Ogni anno, l’ultima domenica di luglio, i fedeli portano sulle proprie spalle la statua della Madonna che allatta e la conducono nel luogo del suo ritrovamento facendola passare tra la folla dove accorrono anche molti pellegrini o semplici curiosi. Arrivati sul posto, gettano una pietra nel burrone atto che simboleggia la volontà di tornare l’anno seguente per le celebrazioni. Questa grande festa è un momento di unione per tutte le comunità che vivono intorno ad Acquaformosa.

Cerchiara città del pane del Pollino. Posso non esitare a dire che, in questa località, fare il pane è una vera e propria forma d’arte. Un pane buono, quello di Cerchiara, e soprattutto un pane di tradizione dove i genitori tramandano l’antica tecnica ai figli.

A Cerchiara le protagoniste principali di questa arte sono le donne. Sette di loro, infatti, sono le titolari d’importanti panifici in paese. Sono le loro mani che tramandano la tradizione e vederle lavorare il lievito diventa, per chi osserva, uno spettacolo unico nel suo genere. Le mani miscelano insieme la farina bianca, la crusca, il lievito madre e l’acqua. Mentre l’impasto procede, il forno si riscalda fino a 300 gradi grazie al fuoco che arde dalla legna di quercia e faggio. Questo forno viene poi svuotato dalla brace e pulito con un’asta alla quale, in cima, sono legati degli stracci bagnati chiamata “scopolo”. È in questo momento che viene lavorata la forma.

Ma cosa caratterizza il pane di Cerchiara di Calabria? La pagnotta si distingue per una gobba e, soprattutto, per la sua invidiabile capacità di mantenersi morbido fino a 15 giorni dalla cottura. Dopo quattro ore il pane è pronto. Il pane a Cerchiara, e non potrebbe essere diversamente del resto, è elemento di festa: quando un ospite entra in casa e si siede a tavola, il padrone di casa gli offre la parte più importante chiamata “rasella”, un pezzo molto gonfio che si trova a lato della forma. Un onore che mi è stato riservato nella mia visita a Cerchiara.

I formaggi di Campotenese sono rinomati per la loro bontà. Al loro primo assaggio è facile innamorarsi di questo gusto. Un sapore genuino dovuto soprattutto alla cura che le piccole e grandi aziende casearie riservano ai loro allevamenti. Tanti formaggi che vengono prodotti nei paesi limitrofi contengono il latte proveniente dai pascoli di Campotenese. A giugno gli animali da pascolo vengono condotti in alta quota dove possono muoversi negli ampi altopiani del Pollino. Qui li attende una vegetazione sempre verde grazie al clima di questa montagna.

In questo contesto nascono prodotti buonissimi che consiglio a tutti di assaggiare: il Moretto del Pollino, un formaggio stagionato molto gustoso; il Burrino, formaggio a pasta filata ripieno di burro e, per chi ama il piccante, c’è il formaggio farcito fatto da latte vaccino e peperoncino. Anche le mozzarelle di Campotenese sono un prodotto molto ricercato non solo dai turisti che approdano sul Pollino come me, ma anche da chi questi luoghi li vive quotidianamente.

Un santuario scavato nella roccia. Questo mi si è presentato agli occhi quando, raggiunta Cerchiara di Calabria, mi sono trovato davanti al Santuario della Madonna delle armi. La parola “armi”, in questo caso, va ricercata nell’espressione greca che gli studiosi traducono in “delle grotte”.

La vista che si ha dal santuario, che si trova alle pendici del Monte Sellaro, è molto suggestiva perché si può osservare sia la Piana di Sibari che il golfo di Taranto. Alla costruzione di questo luogo è legata una leggenda che viene tramandata ancora oggi a chi chiede informazioni sul Santuario della Madonna delle Armi. Nel 1400 alcuni cacciatori di Rossano si infilarono in una grotta del Monte Sellaro mentre inseguivano una cerva. Entrati, non trovarono più l’animale ma due icone in legno con sopra incisi i santi evangelisti. Stupiti dalla scoperta, presero le due icone e le portarono nella loro Rossano. Ma dall’antica città bizantina le tavole in legno sparirono per essere poi ritrovate, nuovamente, nella grotta del Monte Sellaro. Davanti a tutto questo si gridò al miracolo e si decise di costruire, in quel luogo, una piccola cappella per custodirle. Ma un’altra vicenda “miracolosa” stava per sconvolgere la comunità di lì a poco. Il fabbro che lavorava alla costruzione della cappella, innervositosi contro una pietra, la ruppe in due parti. Da una emerse l’immagine della Madonna con il Bambinello, dall’altra San Giovanni Battista. La Madonna con il Bambinello è custodita nel Santuario, mentre l’effigie di San Giovanni venne trafugata e portata a Malta. All’interno della chiesa c’è la Cappella Pignatelli che celebra la sepoltura di Valerio, principe di Cerchiara e autore di molti romanzi ambientati al tempo di Napoleone e che hanno come protagonista Andrea Pignatelli, ufficiale di Gioacchino Murat. Il 25 aprile gli abitanti di Cerchiara festeggiano intorno al Santuario per ricordare il miracolo che la Madonna fece, nel 1846, quando salvò il raccolto dopo le preghiere dei fedeli spaventati dall’idea di morire di fame.

L’albero diventa protagonista ad Alessandria del Carretto con la Festa della Pita che si tiene, ogni anno, nell’ultima domenica di aprile nel paese dello Jonio cosentino che fa parte della comunità del Parco Nazionale del Pollino. Mi hanno spiegato che partecipare a questo evento significa essere fra i protagonisti di una delle cerimonie più caratteristiche della Calabria.

Il rituale è di quelli antichi e affascinanti. Ogni anno, fra i boschi del Pollino, viene tagliato un albero che rappresenta il cardine della festa e sarà trascinato a braccia fino in paese per celebrare il patrono Sant’Alessandro. È in quel giorno che l’albero viene poi spogliato dalla corteccia, levigato e successivamente, nella mattina del 3 maggio, agghindato con una cima composta di prodotti tipici e sollevato. Tutto questo fa in modo che si ottenga un vero e proprio albero della cuccagna, alto diversi metri, che verrà scalato dai più coraggiosi che potranno prendere ciò che vorranno una volta raggiunta la cima. Il rito del “trascinamento” dell’albero viene accompagnato da musica e festa e, se un tempo era un rituale esclusivamente maschile, oggi partecipano al traino molte donne che vogliono essere protagoniste in toto della cerimonia. La festa di Alessandria del Carretto cementa ancor di più, inoltre, la salda amicizia con la comunità del vicino comune di Terranova del Pollino, in provincia di Potenza, che dona il grande albero.

 

 

Da un paio di anni a questa parte, faccio dei piccoli tour per i borghi della Calabria. E rimango esterrefatta quando scopro luoghi e culture di cui non conoscevo l’esistenza. Mi sembra di essere un Colombo che scopre nuove terre, anche se non circumnavigo il mondo. Ed è qui la meraviglia, trovare a pochi passi dalle città tradizioni che si trapassano da oltre cinquecento anni.

Mi riferisco, in questo caso, al rito delle Vallje di Frascineto, una festa arbëreshë, che si celebra ogni anno, il martedì dopo Pasqua. È uno dei momenti di più grande orgoglio per questa comunità così attaccata alle proprie radici.

Frascineto si colora con musiche folcloristiche e abiti variopinti; con canti e balli popolari dove è impossibile restare fermi solo a guardare.

Questo rito è nato per ricordare la vittoria di Skanderbeg contro gli invasori turchi e per decantare i valori che la comunità arbëreshë ha appreso da questa impresa: la libertà; mantenere l’impegno della promessa fatta e l’amicizia nel rispettarla. Donne e uomini vestiti con gli abiti del tempo iniziano una danza, tenendosi per mano quasi a formare una muraglia che si muove a serpente sino ad arrivare alla piazza principale mentre vengono cantate composizioni epiche in lingua albanese.

Successivamente, venni poi a sapere che quei balli e quei canti contenevano il racconto dei culti greci come il mito di Arianna nel labirinto di Minosse; i valori fondamentali della cultura arbëreshë, soprattutto l’importanza della parola data che va mantenuta anche dopo la morte. In un canto il protagonista è Costantino il Grande, che risorge pur di mantenere la promessa fatta alla madre di riportare la sorella a casa.

Ma la cosa più particolare sono i “tintori”. Sono uomini vestiti di nero che si immergono nella folla e, con la fuliggine, dipingono il viso di coloro che ritengono essere i “nemici latini”. Chi viene dipinto deve espiare la colpa offrendo da bere. È capitato a me ed ai miei amici ed è stato molto divertente.

Se la definiamo “capitale del Pollino” non sbagliamo. La mia esperienza nel Parco la devo tutta a Castrovillari. È da qui che sono partito per avventurarmi fra la natura e le bellezze del Parco Nazionale del Pollino. E a dirla tutta mi hanno preso per il naso e per la gola. Infatti, sono venuto a provare i famosi spaghetti al fuoco di bacco realizzati con un sugo mescolato insieme al vino rosso. A seconda dei propri gusti si può aggiungere del pepe o olive verdi oppure nere. Io ho potuto apprezzare una variante con le olive nere mentre quel fumo prelibato mi finiva negli occhi nello stesso istante in cui davanti avevo il Castello Aragonese. Alle mie spalle il Protoconvento e tutto intorno le montagne del Pollino calabrese. Dietro quelle vette, c’è la Basilicata. Nel mio pranzo non sono mancati poi i peperoni cruschi, una specialità tipica dei “pollinari”. Li cucinano, infatti, proprio nelle zone intorno alle pendici del monte Pollino. È ottimo il sapore di questi peperoni lasciati essiccare e poi fritti nell’olio. Una volta alzati da tavola perché non andare a visitare il primo convento dei francescani che la Calabria ha avuto? E allora eccoci dentro al Protoconvento per ammirare i suoi archi, il suo cortile e tutte le stanze che trovano le proprie radici nel 1200. Qui dentro c’è anche il Teatro Sybaris che, insieme ad altri spazi della struttura, ospita una delle più importanti rassegne teatrali d’Italia: Primavera dei teatri. Ma la vocazione nazionale di Castrovillari non si ferma certo qui. Anzi va addirittura fuori dai confini italiani con il Festival Internazionale del Folklore e con il suo Carnevale. È qualcosa di bellissimo vedere sfilare carri e maschere con le montagne sullo sfondo. Anziché avere il mare come a Venezia, a Castrovillari si festeggia nell’abbraccio del Pollino. Per poter visitare il Parco con una guida ci si può recare presso la sede secondaria del Parco che è proprio qui, nel centro della città, a Palazzo Gallo. Basta entrare, informarsi e partire, zaino in spalla, insieme a chi la montagna la conosce come le sue tasche. Arrivati sulle cime del Pollino guardare una città così viva è davvero, davvero molto bello.