Una volta le stagioni scandivano in modo perentorio le attività dei contadini, riconducendo tutto verso un’armonia del lavoro che veniva cadenzato con grande rispetto della terra, degli eventi atmosferici e dell’alternanza delle stagioni. Questo equilibrio naturale è stato dall’uomo alterato per cercare di aumentare la produzione ed offrire ai consumatori ogni prodotto per 12 mesi l’anno. Serre e colture intensive hanno quindi soppiantato i riti della terra e delle stagioni, facendo venire meno la capacità di gustare fino in fondo i sapori che una volta erano solo immaginati nell’attesa del tempo di maturazione. Tuttavia a questa sorte si sottraggono alcune attività come la produzione olivicola. Al termine dell’estate la campagna si appresta a salutare l’autunno e fervono i preparativi per due appuntamenti stagionali indispensabili per ogni società agricola: la vendemmia e la raccolta delle olive. La raccolta delle olive era nel passato una fonte di reddito integrativo per molte famiglie non solo quelle contadine, ricordo quando da bambino accompagnavo mia madre a raccogliere le olive in un rapporto con il padrone del terreno di uno a tre, vale a dire per ogni 10 litri a mia madre ne spettavano 3 e 7 al proprietario terriero. La fatica era notevole. Spesso anche con freddo pungente, chini sulla terra per ore, pur di guadagnarsi la scorta d’olio d’oliva per tutto l’anno. Con il tempo, le tecniche di raccolta si sono evolute, prima con la raccolta tramite le reti e poi con mezzi meccanici, con un miglioramento notevole anche della qualità dell’olio. Ora è sempre più difficile vedere le donne andare a raccogliere le olive con i panieri sulla testa, ma il ruolo dell’olio d’oliva sulle nostre tavole rimane inalterato nel tempo.