La storia di Squillace, dai greci fino ai nostri giorni, conserva nella ceramica un tangibile segno della sua cultura e della sua civiltà. L’arte di lavorare l’argilla in questo territorio si perde nella notte dei secoli e i reperti delle aree archeologiche di Skilletion e di Scolarium testimoniano già in età classica una rilevante produzione ceramica, legata per lo più all’utensileria quotidiana. Magno Aurelio Cassiodoro mostra una particolare attenzione per quest’arte ritenendola un servizio di pubblica utilità e difendendone interessi e diritti. Nel 1096, con la donazione da parte di Ruggero il Normanno di numerosi possedimenti alla Certosa di Serra San Bruno e la giurisdizione, in cui sono compresi anche gli abitanti, troviamo un certo Giovanni detto Cannata ed un Sergio detto Scutelli, ambedue da Squillace, assegnati come servi-figuli. Mentre, nello stesso anno, risultano attivi a Squillace Leone figulo ed i figli. Tutto ciò fa pensare alla presenza di maestranze di estrazione bizantina già prima dell’avvento dei Normanni. Caratteristica è da sempre la produzione di ceramica ingobbiata e graffita, tecnica arcaica, di probabile origine bizantina. Il procedimento consiste nel rivestire il manufatto di un velo di argilla caolinite (di colore bianco), che viene poi decorato a graffio con una punta acuminata. L’argilla, così messa a nudo, in prima cottura assume un colore rosso scuro in contrasto con l’ornato ingobbiato biancastro. L’ingobbio decorato a graffio costituisce il codice identificativo della ceramica artistica di Squillace. Solamente in età tardo medievale e rinascimentale tale tecnica è sostituita con la smaltatura, tipica della maiolica. Vivi tuttora i termini “argagnu”, “argagnaru”, per indicare sia il manufatto che il ceramista, di chiara origine bizantina. Il Barrio, parlando della ceramica squillacese, nel 1500, la definisce “… figulina opera insigna, ut potè patinae (piatti piani con basso ca- vetto simili alle patene di metallo per coprire i calici liturgici), lances, disci (piatti schiacciati ma di maggiori dimensioni) et alia id genus…” dando precise indicazioni anche sulla tipologia lavorativa. Sin dal 1500 – 1600, i maestri ceramisti di Squillace si distinguono in “fajenzari” dediti alla produzione delle “faenze”, ossia terrecotte coperte con smalto stannifero (maioliche) e “pignatari” che producono vasellame ingobbiato di uso più povero. Nel 1911 l’etnologo Raffaele Corso riporta alcuni prodotti fabbricati a Squillace e presenti all’Esposizione Etnografica Nazionale di Firenze dello stesso anno: il lumaricchju, il candileri, il caruseju, palumbara, mbivitureju d’aceji, ciucculatera, bumbula di vinu, vozza grossa. Nel 1938 Frangipane pubblica il piatto, un tempo nel museo di Catanzaro, datato 1654 e recante la scritta “Sql- lci 1654” e ora andato perduto: esso comunque rappresenta uno dei capolavori dell’artigianato squillacese, in cui l’artista ha espresso il massimo della genialità. La costante produzione artigianale squillacese è nel tempo evidenziata dai numerosi reperti di elevato valore artistico che si conservano nei più importanti musei del mondo quali Londra, Parigi, New York, Capodimonte, Palermo, Faenza. Il grande fermento artistico del passato, che ha dato a Squillace un ruolo culturale di una certa rilevanza, vive oggi nella grande volontà dei giovani artigiani, riuniti in un Consorzio denominato “Le Ceramiche di Squillace”. La caratteristica delle ceramiche squillacesi è rappresentata, ieri come oggi, dall’antica tecnica dell’ingobbio. Inoltre, l’interesse costante per l’arte della ceramica a Squillace è dimostrato dalla creazione dell’Istituto Statale d’Arte, iniziata con una prima richiesta da parte del Decurionato nel lontano 1847. La scuola contribuisce quindi a formare numerosi ceramisti ed artisti che riprendono con passione l’antica arte della ceramica artistica di Squillace. Attualmente, sono attive diverse botteghe d’arte lungo il corso G. Pepe, in cui è possibile rivivere il fascino antico di questa tradizione. Sono esposti pregiati oggetti di ceramica, che si rifanno alla tradizione classica e manufatti, comprendenti oggetti rustici e artigianali (limbe, giarre, salaturi, vozze, lanceji, sazareji, ecc.). Con decreto del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato ed in seguito alla deliberazione del Consiglio Nazionale Ceramico, la Città di Squillace, è stata riconosciuta “zona del territo- rio nazionale in cui è in atto un’affermata produzione di ceramica artistica e tradizionale”.